Una recensione sulle novità dell’anno scorso, e aspettatevi molto di più, nel 2022!

Il nuovo anno lavorativo è cominciato, naviga costantemente e con sicurezza come… un aereo di linea a lungo raggio che vola verso est. Fuori dalla finestra è sempre più luminoso: a Mosca la luce del giorno è aumentata di quasi un’ora rispetto a un mese fa; a New York di 40 minuti e a Reykjavik di più di due ore. Anche a Singapore c’è… un minuto di luce solare in più al giorno rispetto a un mese fa.

Tuttavia, l’anno 2021 semplicemente non mi molla! Prima c’è stata la mia recensione dell’anno (tutta positiva); poi c’è stata la recensione dei K-brevetti 2021 (tutta positiva). Un po’ più tardi ci sarà la recensione dei risultati aziendali/finanziari (tutti positivi:). E ora, qui, oggi, ho un’altra recensione per voi!…

Diverse recensioni di un solo anno? Se alcuni di voi ne hanno avuto abbastanza del 2021 e vogliono lasciarselo alle spalle, dimenticarlo, e andare avanti con questo anno, questo è per voi! ->

In realtà, è possibile scaricare il calendario da cui è tratta la foto di cui sopra, qui (e, in ogni caso, ciò di cui parla la foto di cui sopra è qui:).

Bene, torniamo alla quarta recensione del 2021…

E si dà il caso che sia, una recensione professionale, come: del prodotto e delle scoperte tecnologiche che abbiamo realizzato nel corso del nostro impegnatissimo 2021, e tutto in nome della protezione dal cyber-male. Ma prima, un po’ di storia del prodotto e della tecnologia…

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Uno spartiacque per la cyber-assicurazione (con un pagamento di 1,4 miliardi di dollari!)

Ciao ragazzi e ragazze!

È passato un po’ di tempo dalla mia ultima puntata di iNews, ossia, oh-oh cyber-news, ossia, cyber-racconti dal lato oscuro, quindi eccomi a ravvivare la serie, torno in pista con i punti salienti delle cyber-meraviglie di cui potreste non aver sentito parlare dalle vostre solite fonti di notizie…

In questa puntata, vi porto solo un articolo di iNews per voi, ma è abbastanza: un articolo in più avrebbe potuto annacquare il significato di questo (e non sarebbe appropriato essendoci ‘spartiacque’ nel titolo:).

Brevemente sulle iNews: dopo un lungo procedimento legale negli Stati Uniti, un tribunale si è pronunciato a favore della grande azienda farmaceutica Merck contro il suo assicuratore per un pagamento di 1,4 miliardi di dollari (!!) per coprire i danni che Merck ha subito per le mani sporche di NotPetya (alias ExPetr o semplicemente Petya) nel 2017.

Torniamo velocemente indietro al 2017…

Nel giugno di quell’anno, all’improvviso un worm crittografico particolarmente cattivo e tecnologicamente avanzato, NotPetya, è apparso e si è diffuso a macchia d’olio. Inizialmente ha preso di mira l’Ucraina, dove ha attaccato le vittime attraverso un popolare software di contabilità, colpendo banche, siti governativi, l’aeroporto di Kharkov, i sistemi di monitoraggio della centrale nucleare di Chernobyl (!!!), e così via. In seguito, l’epidemia si è diffusa in Russia, e poi in tutto il mondo. Molte fonti autorevoli ritengono che NotPetya sia stato il più distruttivo attacco informatico di sempre. Il che sembra giusto se si conta il numero di aziende attaccate (dozzine delle quali hanno perso centinaia di milioni di dollari ciascuna), mentre il danno complessivo all’economia mondiale è stato stimato in almeno 10 miliardi di dollari!

Una delle vittime più notevoli del cyberattacco globale è stato il gigante farmaceutico statunitense Merck. È stato riferito che 15.000 dei suoi computer sono stati colpiti entro 90 secondi (!) dall’inizio dell’infezione, mentre il suo centro dati di backup (che era collegato alla rete principale), è stato perso quasi istantaneamente.

Alla fine dell’attacco Merck aveva perso circa 30.000 workstation e 7.500 server. Ci sono voluti mesi per ripulire l’attacco, ed un costo di ~1,4 miliardi di dollari. Merck ha anche dovuto prendere in prestito vaccini da fonti esterne per una somma di 250 milioni di dollari a causa delle interruzioni causate alle sue operazioni di produzione.

Ok, sto andando fuori strada. Ora la parte più succosa…
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Un cambio di prospettiva per la sicurezza industriale: immunizzare le aziende

Dieci anni sono un tempo lungo nella cybersecurity. Se avessimo potuto vedere nel futuro di una decina di anni, nel 2011, e capire quanto lontano sarebbero arrivate le tecnologie di cybersecurity entro il 2022, probabilmente nessuno ci avrebbe creduto. Me compreso! Paradigmi, teorie, pratiche, prodotti (anti-virus, che cosa?:), tutto è stato trasformato e progredito oltre il riconoscimento.

Allo stesso tempo, non importa quanto siamo progrediti, e nonostante le vuote promesse di miracoli dell’intelligenza artificiale e altri assortimenti di quasi-cybersecurity hype, oggi siamo ancora di fronte agli stessi, classici problemi che avevamo 10 anni fa nella cybersicurezza industriale:

Come proteggere i dati da occhi estranei e da modifiche non autorizzate, preservando al contempo la continuità dei processi aziendali?

In effetti, proteggere la riservatezza, l’integrità e l’accessibilità costituiscono ancora la fatica quotidiana della maggior parte dei professionisti della cybersecurity.

Non importa dove vada, il ‘digitale’ porta sempre con sé gli stessi fondamentali problemi. E anche il ‘digitalizzarsi’ perché i vantaggi sono così evidenti. Anche campi apparentemente conservatori come la costruzione di macchine industriali, la raffinazione del petrolio, i trasporti o l’energia sono stati pesantemente digitalizzati già da anni. Tutto bene, ma è tutto sicuro?

Con il digitale, l’efficacia del business cresce a passi da gigante. D’altra parte, tutto ciò che è digitale può essere (e viene) violato, e ci sono moltissimi esempi di questo nel campo industriale. C’è una grande tentazione di abbracciare completamente tutto ciò che è digitale, per raccogliere tutti i suoi benefici; tuttavia, deve essere fatto in un modo che non sia agonizzante e doloroso (leggi, con i processi aziendali che vengono interrotti). Ed è qui che il nostro nuovo (quasi) speciale antidolorifico può aiutare: il nostro KISG 100 (Kaspersky IoT Secure Gateway).

Questo piccolo dispositivo (RRP, un po’ più di €1000) è installato tra l’attrezzatura industriale (ulteriormente ‘macchinari’) e il server che riceve vari segnali da questa attrezzatura. I dati in questi segnali variano, sulla produttività, i guasti del sistema, l’uso delle risorse, i livelli di vibrazione, le misurazioni delle emissioni di CO2/NOx, e molti altri, e sono tutti necessari per avere un quadro generale del processo di produzione e per essere in grado di prendere decisioni aziendali ben informate e ragionate.

Come puoi vedere, il dispositivo è piccolo, ma sicuramente è anche potente. Una funzionalità cruciale è che permette di trasferire solo i dati “consentiti”. Permette anche la trasmissione dei dati rigorosamente in una sola direzione. Così, KISG 100 può intercettare un grande insieme di attacchi: man-in-the-middle, man-in-the-cloud, attacchi DDoS, e molte altre minacce basate su internet che continuano ad arrivare in questi tempi digitali “ruggenti”.
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Un gateway verso la cyberimmunity

Ciao gente!

Innanzitutto, una breve prefazione con i miei racconti dal Permafrost, un viaggio ancora in corso di svolgimento. Niente di meglio prima di parlare di un nuovo e importate prodotto K!

Rullo di tamburi… 

Stiamo lanciando e presentando ufficialmente al mondo la nostra prima soluzione completamente “cyber-immune” per l’elaborazione dei dati industriali, la cybersecurity tradizionale lascia spazio a una nuova era di “cyber immunità”, rivolta (almeno per ora) ai sistemi industriali e all’Internet delle Cose (IdC/IoT)!

Allora, dov’è questa soluzione cyber-immune? In realtà, è proprio nella mia tasca! ->

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Ramsom: pagare o non pagare? Questo è il dilemma

A volte, leggendo un articolo su cosa fare in caso di un attacco ransomware, mi imbatto in questo consiglio: “Considerate l’opzione di pagare il riscatto”. Nel momento in cui lo leggo, faccio un respiro profondo, poi sospiro contrariato… e chiudo la scheda del browser. Perché? Non si dovrebbe mai pagare il riscatto richiesto dagli estorsori! E non solo perché significherebbe sostenere un’attività criminale. Chiaramente ci sono altri motivi, lasciatemi spiegare quali.

Primo punto: state promuovendo il malware

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Basta interruzioni del traffico aeroportuale per colpa dei droni: abbiamo la soluzione!

Già da qualche settimana, questo dispositivo misterioso, scintillante, chiaramente hi-tech e futuristico fa parte all’arredamento minimalista del mio ufficio, nel nostro quartier generale. È così luccicante e sofisticato, elegante e post-moderno che ogni volta che ricevo qualcuno in visita, cosa che non capita spesso di recente a causa della nostra politica generale dello smart working, la prima cosa che nota e la prima domanda che mi fa,  semplicemente, è sempre: “che cos’è quello?”->

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OpenTIP, seconda parte: vi aspettiamo!

Un anno fa, mi sono rivolto agli specialisti della cybersecurity per presentare loro un nuovo tool che avevamo sviluppato, il nostro Open Threat Intelligence Portal. Gli strumenti per l’analisi delle minacce complesse (o di file semplicemente sospetti), gli stessi utilizzati dai nostri cyber-ninja del GReAT, diventavano disponibili a chiunque volesse servirsene. E sono stati in molti a farlo, dal momento che ogni mese sono stati analizzati un’infinità di file.

Tuttavia, in un solo anno la situazione è cambiata notevolmente. Il lavoro degli esperti di cybersecurity è diventato molto più complicato, per via del fatto che praticamente il mondo intero, per colpa del coronavirus, è passato allo smart working. Di conseguenza, occuparsi della sicurezza delle reti aziendali è diventato un compito molto più faticoso e problematico. Il tempo, una risorsa molto preziosa già prima del coronavirus, adesso ha un valore inestimabile. La richiesta più frequente che ci fanno ora i nostri utenti più sofisticati è semplice e diretta: “Dateci l’accesso API e aumentate i rate limit!”

Ogni vostro desiderio è un ordine per noi.

Nuova home page di Open Threat Intelligence Portal

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Cybersecurity: la nuova dimensione della qualità nel settore automotive

Molta gente sembra pensare che l’automobile del XXI secolo sia ancora un dispositivo meccanico. Certo, è stata introdotta l’elettronica per gestire alcune situazioni ma in fin dei conti è comunque un’opera di ingegneria meccanica: telaio, motore, ruote, volante, pedali… nell’elettronica, persino i computer, si limitano ad agevolare tutte le funzionalità meccaniche. Devono farlo, dopotutto, i cruscotti di questi tempi sono un mare di display digitali, con pochi quadranti analogici da vedere.

Beh, lasciate che vi dica una cosa: non è così!

Un’auto oggi è fondamentalmente un computer specializzato – un “cyber-cervello”, che controlla la meccanica e l’elettricità che tradizionalmente associamo alla parola “auto”, il motore, i freni, gli indicatori di direzione, i tergicristalli, l’aria condizionata e tutto il resto.

In passato, per esempio, il freno a mano era meccanico al 100%. Lo si tirava, con la “mano” (immaginate?!), e faceva una specie di rumore da meccanico. Oggi si preme un pulsante. 0% meccanico. 100% computerizzato. Ed è così con quasi tutto.

Ora, la maggior parte della gente pensa che in un’auto senza conducente sia un computer che guida la macchina. Ma se oggi c’è un umano al volante di una nuova auto, allora è l’umano che guida (non un computer), “certo, sciocco!”

Rieccoci di nuovo…: neanche questo è vero!

Con la maggior parte delle auto di oggi, l’unica differenza tra quelle senza conducente e quelle che sono guidate da un umano è che in quest’ultimo caso l’umano controlla il computer di bordo. Mentre nel primo caso, i computer di tutta l’auto sono controllati da un altro computer principale, centrale, molto intelligente, sviluppato da aziende come Google, Yandex, Baidu e Cognitive Technologies. A questo computer viene data la destinazione, osserva tutto quello che succede intorno e poi decide come navigare verso la destinazione, a quale velocità, con quale percorso e così via, basandosi su algoritmi mega-smart, aggiornati al nanosecondo.

Una breve storia della digitalizzazione dei veicoli a motore

Quando si è passati dalla meccanica al digitale?

Alcuni esperti del settore ritengono che l’informatizzazione dell’industria automobilistica sia iniziata nel 1955, quando la Chrysler propose una radio a transistor come optional su uno dei suoi modelli. Altri, pensando forse che una radio non sia una vera e propria caratteristica automobilistica, ritengono che sia stata l’introduzione dell’accensione elettronica, dell’ABS o dei sistemi elettronici di controllo del motore a inaugurare l’informatizzazione dell’automobile (da parte di Pontiac, Chrysler e GM rispettivamente nel 1963, 1971 e 1979).

Non importa quando è iniziato, ciò che è avvenuto dopo ha riguardato sempre più l’elettronica; poi le cose hanno cominciato a diventare più digitali, e la linea tra le due parti si è andata assottigliando. Tuttavia, per quanto mi riguarda l’inizio della rivoluzione digitale nelle tecnologie automobilistiche è datato febbraio 1986, quando, alla convention della Society of Automotive Engineers, la società Robert Bosch GmbH presentò al mondo il suo protocollo di rete digitale per la comunicazione tra i componenti elettronici di un’auto, detto anche CAN (Controller Area Network). E bisogna dare a questi ragazzi della Bosch il dovuto riconoscimento: ancora oggi questo protocollo è pienamente valido, di fatti utilizzato in ogni veicolo al mondo!

Breve panorama del mondo automobilistico digitale dopo l’introduzione del bus CAN:

I ragazzi Bosch ci hanno dato vari tipi di bus CAN (a bassa velocità, ad alta velocità, FD-CAN), mentre oggi ci sono FlexRay (trasmissione), LIN (bus a bassa velocità), MOST ottico (multimediale) e, infine, Ethernet a bordo (oggi a 100 mbps; in futuro fino a 1 gbps). Al giorno d’oggi, nel progettare le auto vengono applicati vari protocolli di comunicazione. C’è la trasmissione drive by wire (sistemi elettrici invece di collegamenti meccanici), che ci ha portato: pedali elettronici a gas, pedali elettronici dei freni (usati da Toyota, Ford e GM nelle loro ibride ed elettro-mobili dal 1998), freni a mano elettronici, cambi elettronici, e sterzo elettronico (usato per la prima volta da Infinity nella sua Q50 nel 2014).

Bus BMW e interfacce

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Vi piace il gaming ad alto consumo di risorse? Scoprite la nostra modalità Gioco

Quasi 30 anni fa, nel 1993, è apparsa la prima incarnazione del gioco per computer cult Doom. E fu grazie ad essa che i pochi (immaginate!) proprietari di computer di allora scoprirono che il modo migliore per proteggersi dai mostri è quello di usare un fucile da caccia e una motosega.

Non sono mai stato un grande appassionato di giochi (semplicemente non c’era abbastanza tempo, sono sempre stato troppo occupato); tuttavia, di tanto in tanto, dopo una lunga giornata di lavoro, io e i colleghi passavamo un’ora o giù di lì a giocare a uno di quei giochi sparatutto, collegati tutti insieme alla nostra rete locale. Ricordo persino i campionati aziendali Duke Nukem, con tanto di tabelle dei risultati delle quali si discuteva a pranzo in mensa, e persino scommesse fatte su chi avrebbe vinto! Così, il mondo del gaming non è mai stato molto lontano da me.

Nel frattempo, è nato il nostro antivirus, completo di grugnito di maiale (impostate i sottotitoli inglesi, in basso a destra del video) per spaventare anche il più temibile dei cyber-mostri. Le prime tre release sono andate bene. Poi è arrivata la quarta, con un gran numero di nuove tecnologie contro le complesse cyber minacce, ma non avevamo pensato abbastanza bene alla struttura (e non l’avevamo nemmeno testato a sufficienza). Il problema principale era il modo in cui monopolizzava le risorse, rallentando i computer. E il software in generale a quei tempi, e il gioco in particolare, stava diventando sempre più impegnativo dal punto di vista delle risorse; l’ultima cosa di cui si aveva bisogno era un processore antivirus egoista e una RAM.

Quindi dovevamo agire in fretta, cosa che abbiamo fatto. E così, appena dopo due anni, abbiamo lanciato la nostra leggendaria sesta versione, che ha superato tutti in velocità (anche in termini di affidabilità e flessibilità). E negli ultimi 15 anni le nostre soluzioni sono sempre state tra le migliori in termini di prestazioni.

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Un sistema di allerta precoce per i cyber-ranger (Adaptive Anomaly Control)

Molto probabilmente, se siete abituati a lavorare in ufficio, in questo momento è ancora piuttosto, o completamente vuoto, proprio come il nostro. Nel nostro quartier generale le uniche persone che vedrete di tanto in tanto sono le guardie di sicurezza, e l’unico rumore che sentirete sarà il ronzio dei sistemi di raffreddamento dei nostri pesanti server, dato che tutti sono collegati e lavorano da casa.

Non immaginereste mai che, invisibili, le nostre tecnologie, i nostri esperti e i nostri prodotti lavorano 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per proteggere il mondo informatico, eppure è così. Tuttavia, nel frattempo i cybercriminali stanno escogitando nuovi trucchi. Meno male, quindi, che abbiamo un sistema di allerta precoce nella nostra collezione di tool per la protezione informatica. Ma ci arriverò tra un po’…

Il ruolo di un addetto/a alla sicurezza informatica assomiglia per certi versi a quello di una guardia forestale: per catturare i bracconieri (malware) e neutralizzare la minaccia che rappresentano per gli abitanti della foresta, è necessario prima di tutto trovarli. Certo, si potrebbe semplicemente aspettare che il fucile di un bracconiere spari e correre verso il luogo da cui proviene il suono, ma questo non esclude la possibilità che si arrivi troppo tardi e che l’unica cosa che si possa fare sia ripulire la scena.

Si potrebbe andare in paranoia: piazzare sensori e videocamere in tutta la foresta, ma poi ci si potrebbe ritrovare a reagire a qualsiasi fruscio che viene captato (e presto perdere il sonno, poi la testa). Ma quando ci si rende conto che i bracconieri hanno imparato a nascondersi davvero bene, anzi, a non lasciare alcuna traccia della loro presenza, allora diventa chiaro che l’aspetto più importante della sicurezza è la capacità di separare gli eventi sospetti da quelli regolari e innocui.

Sempre più spesso i cyber-bracconieri di oggi si mimetizzano con l’aiuto di strumenti e operazioni perfettamente legittime.

Alcuni esempi: l’apertura di un documento su Microsoft Office, la concessione dell’accesso remoto a un amministratore di sistema, il lancio di uno script su PowerShell e l’attivazione di un meccanismo di cifratura dei dati. Poi c’è la nuova ondata dei cosiddetti malware fileless, che lasciano letteralmente zero tracce su un disco rigido e che limitano seriamente l’efficacia degli approcci tradizionali alla protezione.

Esempi: (i) la minaccia Platinum ha utilizzato tecnologie fileless per penetrare nei computer di organizzazioni diplomatiche; e (ii) documenti di lavoro con payload dannoso sono stati utilizzati per infezioni tramite phishing nelle operazioni dell’APT DarkUniverse. Un altro esempio: il ransomware-encryptor fileless ‘Mailto’ (alias Netwalker) utilizza uno script PowerShell per caricare ilcodice dannoso direttamente nella memoria di processi di sistema affidabili.

Ora, se la protezione tradizionale non è all’altezza del compito, è possibile cercare di vietare agli utenti tutta una serie di operazioni e introdurre politiche severe sull’accesso e l’uso di software. Tuttavia, anche se così fosse, sia gli utenti che i criminali informatici alla fine troverebbero probabilmente il modo di aggirare i divieti (proprio come è sempre stato fatto anche per il divieto di bere alcolici).

Sarebbe molto meglio trovare una soluzione in grado di rilevare le anomalie nei processi standard e di informarne l’amministratore di sistema. Ma l’importante è che una tale soluzione sia in grado di imparare a determinare automaticamente in modo accurato il grado di “sospetto” dei processi in tutta la loro grande varietà, in modo da non tormentare l’amministratore di sistema con continue grida di “al lupo, al lupo!”

Bene, avete indovinato! Abbiamo una soluzione di questo tipo: si chiama Adaptive Anomaly Control, un servizio costruito su tre componenti principali: regole, statistiche ed eccezioni.

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