Tag: tecnologia

Basta interruzioni del traffico aeroportuale per colpa dei droni: abbiamo la soluzione!

Già da qualche settimana, questo dispositivo misterioso, scintillante, chiaramente hi-tech e futuristico fa parte all’arredamento minimalista del mio ufficio, nel nostro quartier generale. È così luccicante e sofisticato, elegante e post-moderno che ogni volta che ricevo qualcuno in visita, cosa che non capita spesso di recente a causa della nostra politica generale dello smart working, la prima cosa che nota e la prima domanda che mi fa,  semplicemente, è sempre: “che cos’è quello?”->

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OpenTIP, seconda parte: vi aspettiamo!

Un anno fa, mi sono rivolto agli specialisti della cybersecurity per presentare loro un nuovo tool che avevamo sviluppato, il nostro Open Threat Intelligence Portal. Gli strumenti per l’analisi delle minacce complesse (o di file semplicemente sospetti), gli stessi utilizzati dai nostri cyber-ninja del GReAT, diventavano disponibili a chiunque volesse servirsene. E sono stati in molti a farlo, dal momento che ogni mese sono stati analizzati un’infinità di file.

Tuttavia, in un solo anno la situazione è cambiata notevolmente. Il lavoro degli esperti di cybersecurity è diventato molto più complicato, per via del fatto che praticamente il mondo intero, per colpa del coronavirus, è passato allo smart working. Di conseguenza, occuparsi della sicurezza delle reti aziendali è diventato un compito molto più faticoso e problematico. Il tempo, una risorsa molto preziosa già prima del coronavirus, adesso ha un valore inestimabile. La richiesta più frequente che ci fanno ora i nostri utenti più sofisticati è semplice e diretta: “Dateci l’accesso API e aumentate i rate limit!”

Ogni vostro desiderio è un ordine per noi.

Nuova home page di Open Threat Intelligence Portal

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Cybersecurity: la nuova dimensione della qualità nel settore automotive

Molta gente sembra pensare che l’automobile del XXI secolo sia ancora un dispositivo meccanico. Certo, è stata introdotta l’elettronica per gestire alcune situazioni ma in fin dei conti è comunque un’opera di ingegneria meccanica: telaio, motore, ruote, volante, pedali… nell’elettronica, persino i computer, si limitano ad agevolare tutte le funzionalità meccaniche. Devono farlo, dopotutto, i cruscotti di questi tempi sono un mare di display digitali, con pochi quadranti analogici da vedere.

Beh, lasciate che vi dica una cosa: non è così!

Un’auto oggi è fondamentalmente un computer specializzato – un “cyber-cervello”, che controlla la meccanica e l’elettricità che tradizionalmente associamo alla parola “auto”, il motore, i freni, gli indicatori di direzione, i tergicristalli, l’aria condizionata e tutto il resto.

In passato, per esempio, il freno a mano era meccanico al 100%. Lo si tirava, con la “mano” (immaginate?!), e faceva una specie di rumore da meccanico. Oggi si preme un pulsante. 0% meccanico. 100% computerizzato. Ed è così con quasi tutto.

Ora, la maggior parte della gente pensa che in un’auto senza conducente sia un computer che guida la macchina. Ma se oggi c’è un umano al volante di una nuova auto, allora è l’umano che guida (non un computer), “certo, sciocco!”

Rieccoci di nuovo…: neanche questo è vero!

Con la maggior parte delle auto di oggi, l’unica differenza tra quelle senza conducente e quelle che sono guidate da un umano è che in quest’ultimo caso l’umano controlla il computer di bordo. Mentre nel primo caso, i computer di tutta l’auto sono controllati da un altro computer principale, centrale, molto intelligente, sviluppato da aziende come Google, Yandex, Baidu e Cognitive Technologies. A questo computer viene data la destinazione, osserva tutto quello che succede intorno e poi decide come navigare verso la destinazione, a quale velocità, con quale percorso e così via, basandosi su algoritmi mega-smart, aggiornati al nanosecondo.

Una breve storia della digitalizzazione dei veicoli a motore

Quando si è passati dalla meccanica al digitale?

Alcuni esperti del settore ritengono che l’informatizzazione dell’industria automobilistica sia iniziata nel 1955, quando la Chrysler propose una radio a transistor come optional su uno dei suoi modelli. Altri, pensando forse che una radio non sia una vera e propria caratteristica automobilistica, ritengono che sia stata l’introduzione dell’accensione elettronica, dell’ABS o dei sistemi elettronici di controllo del motore a inaugurare l’informatizzazione dell’automobile (da parte di Pontiac, Chrysler e GM rispettivamente nel 1963, 1971 e 1979).

Non importa quando è iniziato, ciò che è avvenuto dopo ha riguardato sempre più l’elettronica; poi le cose hanno cominciato a diventare più digitali, e la linea tra le due parti si è andata assottigliando. Tuttavia, per quanto mi riguarda l’inizio della rivoluzione digitale nelle tecnologie automobilistiche è datato febbraio 1986, quando, alla convention della Society of Automotive Engineers, la società Robert Bosch GmbH presentò al mondo il suo protocollo di rete digitale per la comunicazione tra i componenti elettronici di un’auto, detto anche CAN (Controller Area Network). E bisogna dare a questi ragazzi della Bosch il dovuto riconoscimento: ancora oggi questo protocollo è pienamente valido, di fatti utilizzato in ogni veicolo al mondo!

Breve panorama del mondo automobilistico digitale dopo l’introduzione del bus CAN:

I ragazzi Bosch ci hanno dato vari tipi di bus CAN (a bassa velocità, ad alta velocità, FD-CAN), mentre oggi ci sono FlexRay (trasmissione), LIN (bus a bassa velocità), MOST ottico (multimediale) e, infine, Ethernet a bordo (oggi a 100 mbps; in futuro fino a 1 gbps). Al giorno d’oggi, nel progettare le auto vengono applicati vari protocolli di comunicazione. C’è la trasmissione drive by wire (sistemi elettrici invece di collegamenti meccanici), che ci ha portato: pedali elettronici a gas, pedali elettronici dei freni (usati da Toyota, Ford e GM nelle loro ibride ed elettro-mobili dal 1998), freni a mano elettronici, cambi elettronici, e sterzo elettronico (usato per la prima volta da Infinity nella sua Q50 nel 2014).

Bus BMW e interfacce

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Imparare a usare le regole YARA: prevedere i cigni neri

È da molto, molto tempo che l’umanità non viveva un anno come questo. Non credo di aver mai assistito a un anno con una così alta concentrazione di cigni neri di vari tipi e forme. E non intendo quelli con le piume. Parlo di eventi inaspettati con conseguenze di vasta portata, secondo la teoria di Nassim Nicholas Taleb, pubblicata nel 2007 nel suo libro Il cigno nero. Uno degli elementi principali della teoria è che, con il senno di poi, gli eventi sorprendenti già accaduti sembrano ovvi e prevedibili; tuttavia, prima che accadano, nessuno li prevede.

Esempio: questo orrendo virus che da marzo ha messo il mondo in isolamento. Si è scoperto che c’è un’intera famiglia estesa di coronaviridae, con decine di virus, e ne vengono trovate regolarmente di nuovi. Gatti, cani, uccelli e pipistrelli ne vengono infettati. Anche gli esseri umani. Alcuni causano raffreddori comuni. Altri si manifestano… in modo diverso. Quindi, sicuramente, dobbiamo sviluppare vaccini per loro come abbiamo fatto per altri virus mortali come il vaiolo, la poliomielite e altre malattie. Certo, ma avere un vaccino non sempre aiuta. Basti pensare all’influenza, ancora nessun vaccino risolve il problema, dopo quanti secoli? E comunque, anche per iniziare a sviluppare un vaccino è necessario sapere cosa si sta cercando, e questa è più arte che scienza.

Allora, perché vi sto dicendo tutto questo? Qual è la connessione con… beh, sarà inevitabilmente o la sicurezza informatica o i viaggi esotici, giusto?! Oggi, è il primo caso.

Ora, una delle più pericolose minacce informatiche esistenti è quella degli zero-day, rare, sconosciute (a chi si occupa di sicurezza informatica e non) vulnerabilità nei software che possono provocare danni su larga scala, ma che tendono a rimanere sconosciute fino a (o talvolta dopo) il momento in cui vengono sfruttate.

Tuttavia, gli esperti di sicurezza informatica hanno alcune armi per affrontare l’ambiguità e per prevedere i cigni neri. In questo post voglio parlare di una di queste armi: YARA.

In breve, YARA aiuta la ricerca e l’individuazione dei malware identificando i file che soddisfano determinate condizioni e fornendo un approccio basato su delle regole per creare descrizioni di famiglie di malware mediante modelli testuali o binari (oh, sembra complicato. Continuate a leggere per maggiori chiarimenti). Così, questo sistema viene utilizzato per la ricerca di malware simili identificando determinate caratteristiche. L’obiettivo è quello di poter dire che certi programmi dannosi sembrano essere stati creati dalle stesse persone, con obiettivi simili.

Ok, passiamo a un’altra metafora simile a quella del cigno nero, ma a tema marino.

Diciamo che la vostra rete è l’oceano, che è pieno di migliaia di tipi di pesci, e che siete un pescatore industriale che si trova nell’oceano con la nave che getta enormi reti alla deriva per catturare i pesci, ma solo alcune specie (malware creati da particolari gruppi di hacker) sono interessanti per voi. Ora, la rete da posta è particolare. Ha compartimenti speciali e in ognuno di essi vengono catturati solo pesci di una determinata razza (caratteristiche del malware).

Poi, alla fine del turno, si raccolgono un sacco di pesci, tutti suddivisi in compartimenti, alcuni dei quali sono pesci relativamente nuovi, mai visti prima (nuovi campioni di malware) di cui non si sa praticamente nulla. Ma se si trovano in un certo compartimento, diciamo: “Sembra la specie [gruppo di hacker] X” o “Sembra la specie [gruppo di hacker] Y”.

Ecco un caso che illustra la metafora pesci/pesca. Nel 2015, il nostro guru di YARA e capo del GReAT, Costin Raiu, si è dedicato completamente alla cyber-ricerca per individuare un exploit nel software Silverlight di Microsoft. Dovreste davvero leggere quell’articolo, ma, brevemente, ciò che Raiu ha fatto è stato esaminare attentamente la corrispondenza e-mail fatta trapelare da alcuni hacker per assemblare una regola YARA praticamente dal nulla, il che ha portato a trovare l’exploit e quindi a proteggere il mondo da questo grande problema. (La corrispondenza proveniva da un’azienda italiana chiamata Hacking Team, hacker che hackerano altri hacker!)

Quindi, a proposito di queste regole di YARA…

Da anni insegniamo l’arte di creare le regole YARA. Le minacce informatiche che YARA aiuta a scovare sono piuttosto complesse, ecco perché abbiamo sempre tenuto i corsi di persona, offline, e solo per un ristretto gruppo di ricercatori di alto livello nel campo della sicurezza informatica. Naturalmente, da marzo, la formazione offline è stata difficile a causa dell’isolamento; tuttavia, il bisogno di formazione non è quasi scomparso, e in effetti non abbiamo visto alcun calo di interesse nei nostri corsi.

È naturale che i cybercriminali continuino a pensare ad attacchi sempre più sofisticati, ancor più durante il lockdown. Di conseguenza, tenere le nostre conoscenze specialistiche su YARA per noi stessi durante il lockdown stato semplicemente sbagliato. Per questo motivo: (1) siamo passati da una formazione offline a online e (2) l’abbiamo resa accessibile a tutti. Non è un corso gratuito, ma per questo livello (il più alto) il prezzo è molto competitivo e giusto per il mercato.

Vi presento:

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Vi piace il gaming ad alto consumo di risorse? Scoprite la nostra modalità Gioco

Quasi 30 anni fa, nel 1993, è apparsa la prima incarnazione del gioco per computer cult Doom. E fu grazie ad essa che i pochi (immaginate!) proprietari di computer di allora scoprirono che il modo migliore per proteggersi dai mostri è quello di usare un fucile da caccia e una motosega.

Non sono mai stato un grande appassionato di giochi (semplicemente non c’era abbastanza tempo, sono sempre stato troppo occupato); tuttavia, di tanto in tanto, dopo una lunga giornata di lavoro, io e i colleghi passavamo un’ora o giù di lì a giocare a uno di quei giochi sparatutto, collegati tutti insieme alla nostra rete locale. Ricordo persino i campionati aziendali Duke Nukem, con tanto di tabelle dei risultati delle quali si discuteva a pranzo in mensa, e persino scommesse fatte su chi avrebbe vinto! Così, il mondo del gaming non è mai stato molto lontano da me.

Nel frattempo, è nato il nostro antivirus, completo di grugnito di maiale (impostate i sottotitoli inglesi, in basso a destra del video) per spaventare anche il più temibile dei cyber-mostri. Le prime tre release sono andate bene. Poi è arrivata la quarta, con un gran numero di nuove tecnologie contro le complesse cyber minacce, ma non avevamo pensato abbastanza bene alla struttura (e non l’avevamo nemmeno testato a sufficienza). Il problema principale era il modo in cui monopolizzava le risorse, rallentando i computer. E il software in generale a quei tempi, e il gioco in particolare, stava diventando sempre più impegnativo dal punto di vista delle risorse; l’ultima cosa di cui si aveva bisogno era un processore antivirus egoista e una RAM.

Quindi dovevamo agire in fretta, cosa che abbiamo fatto. E così, appena dopo due anni, abbiamo lanciato la nostra leggendaria sesta versione, che ha superato tutti in velocità (anche in termini di affidabilità e flessibilità). E negli ultimi 15 anni le nostre soluzioni sono sempre state tra le migliori in termini di prestazioni.

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Le Top-5 K-tecnologie che ci hanno fatto entrare nella Top-100 Global Innovators

Ce l’abbiamo fatta di nuovo! Per la seconda volta siamo stati inseriti nella Top 100 Global Innovators di Derwent, una prestigiosa lista di aziende globali redatta sulla base dei loro portfolio di brevetti. Dico prestigiosa, perché nella lista siamo in contatto con aziende come Amazon, Facebook, Google, Microsoft, Oracle, Symantec e Tencent; inoltre, la lista non è solo una selezione di aziende apparentemente forti dal punto di vista brevettuale: è formata sulla base del titanico lavoro analitico della Clarivate Analytics, che la vede valutare più di 14.000 (!) aziende candidate su ogni tipo di criterio, di cui il principale è il tasso di citazione, alias “influenza”.

Entrando maggiormente in dettaglio, il tasso di citazione è il livello di influenza delle invenzioni sulle innovazioni di altre aziende. Per noi, è la frequenza con cui gli altri inventori ci citano nei loro brevetti. Ed essere menzionati formalmente nel brevetto di un’altra azienda significa che si è arrivati a qualcosa di nuovo e genuinamente innovativo e utile, che aiuta il loro “qualcosa di nuovo e genuinamente innovativo e utile”. Naturalmente, un sistema così consolidato di riconoscimento degli altri innovatori, non è il posto adatto per coloro che escogitano semplici brevetti di BS. Ed è per questo che nessuno di questi si avvicina a questa Top-100. Nel frattempo, noi siamo proprio lì, tra le prime 100 aziende innovatrici globali che fanno veramente progredire il progresso tecnologico.

Wow, che bella sensazione. È come una pacca sulla spalla per tutto il nostro duro lavoro: un vero riconoscimento del nostro contributo. Evviva!

Sono ancora in fibrillazione, è incredibile! Da tutto questo, per curiosità, mi sono chiesto quali, cinque, delle nostre tecnologie brevettate sono le più citate, le più influenti. Così ho dato un’occhiata. Ed ecco cosa ho trovato…

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Un sistema di allerta precoce per i cyber-ranger (Adaptive Anomaly Control)

Molto probabilmente, se siete abituati a lavorare in ufficio, in questo momento è ancora piuttosto, o completamente vuoto, proprio come il nostro. Nel nostro quartier generale le uniche persone che vedrete di tanto in tanto sono le guardie di sicurezza, e l’unico rumore che sentirete sarà il ronzio dei sistemi di raffreddamento dei nostri pesanti server, dato che tutti sono collegati e lavorano da casa.

Non immaginereste mai che, invisibili, le nostre tecnologie, i nostri esperti e i nostri prodotti lavorano 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per proteggere il mondo informatico, eppure è così. Tuttavia, nel frattempo i cybercriminali stanno escogitando nuovi trucchi. Meno male, quindi, che abbiamo un sistema di allerta precoce nella nostra collezione di tool per la protezione informatica. Ma ci arriverò tra un po’…

Il ruolo di un addetto/a alla sicurezza informatica assomiglia per certi versi a quello di una guardia forestale: per catturare i bracconieri (malware) e neutralizzare la minaccia che rappresentano per gli abitanti della foresta, è necessario prima di tutto trovarli. Certo, si potrebbe semplicemente aspettare che il fucile di un bracconiere spari e correre verso il luogo da cui proviene il suono, ma questo non esclude la possibilità che si arrivi troppo tardi e che l’unica cosa che si possa fare sia ripulire la scena.

Si potrebbe andare in paranoia: piazzare sensori e videocamere in tutta la foresta, ma poi ci si potrebbe ritrovare a reagire a qualsiasi fruscio che viene captato (e presto perdere il sonno, poi la testa). Ma quando ci si rende conto che i bracconieri hanno imparato a nascondersi davvero bene, anzi, a non lasciare alcuna traccia della loro presenza, allora diventa chiaro che l’aspetto più importante della sicurezza è la capacità di separare gli eventi sospetti da quelli regolari e innocui.

Sempre più spesso i cyber-bracconieri di oggi si mimetizzano con l’aiuto di strumenti e operazioni perfettamente legittime.

Alcuni esempi: l’apertura di un documento su Microsoft Office, la concessione dell’accesso remoto a un amministratore di sistema, il lancio di uno script su PowerShell e l’attivazione di un meccanismo di cifratura dei dati. Poi c’è la nuova ondata dei cosiddetti malware fileless, che lasciano letteralmente zero tracce su un disco rigido e che limitano seriamente l’efficacia degli approcci tradizionali alla protezione.

Esempi: (i) la minaccia Platinum ha utilizzato tecnologie fileless per penetrare nei computer di organizzazioni diplomatiche; e (ii) documenti di lavoro con payload dannoso sono stati utilizzati per infezioni tramite phishing nelle operazioni dell’APT DarkUniverse. Un altro esempio: il ransomware-encryptor fileless ‘Mailto’ (alias Netwalker) utilizza uno script PowerShell per caricare ilcodice dannoso direttamente nella memoria di processi di sistema affidabili.

Ora, se la protezione tradizionale non è all’altezza del compito, è possibile cercare di vietare agli utenti tutta una serie di operazioni e introdurre politiche severe sull’accesso e l’uso di software. Tuttavia, anche se così fosse, sia gli utenti che i criminali informatici alla fine troverebbero probabilmente il modo di aggirare i divieti (proprio come è sempre stato fatto anche per il divieto di bere alcolici).

Sarebbe molto meglio trovare una soluzione in grado di rilevare le anomalie nei processi standard e di informarne l’amministratore di sistema. Ma l’importante è che una tale soluzione sia in grado di imparare a determinare automaticamente in modo accurato il grado di “sospetto” dei processi in tutta la loro grande varietà, in modo da non tormentare l’amministratore di sistema con continue grida di “al lupo, al lupo!”

Bene, avete indovinato! Abbiamo una soluzione di questo tipo: si chiama Adaptive Anomaly Control, un servizio costruito su tre componenti principali: regole, statistiche ed eccezioni.

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Giocare a nascondino con i malware fileless

Il codice dannoso… si insinua ovunque…

È un po’ come un gas, che riempirà sempre lo spazio in cui si trova, anche se una differenza c’è: il codice dannoso passerà sempre attraverso i “buchi” (le vulnerabilità) di un sistema informatico. Quindi il nostro lavoro (anzi, uno di questi) è trovare tali falle e chiuderle. Il nostro obiettivo è di farlo in modo proattivo, cioè prima che il malware scopra queste falle. E se ci riesce, siamo lì pronti ad acciuffarlo.

Di fatto, è questa protezione proattiva e la capacità di prevedere le azioni dei cybercriminali e di creare una barriera in anticipo che fa la differenza tra una cybersecurity di qualità e altamente tecnologica dal marketing di paccottiglia.

Oggi voglio parlarvi di un altro modo in cui la nostra protezione proattiva protegge da un tipo di malware, particolarmente astuto. Sì, voglio parlarvi del cosiddetto codice dannoso fileless (o bodiless, senza corpo), un tipo pericoloso di malware-fantasma che ha imparato a usare i difetti dell’architettura di Windows per infettare i computer. E voglio parlarvi anche della nostra tecnologia brevettata che combatte questa particolare cyber-malattia. Lo farò proprio come piace a voi: spiegando problemi complessi in modo semplice, senza nascondere nulla ma in modo avvicente, una sorta di cyber-thriller con elementi di suspense.

Prima di tutto, cosa indica il termine fileless?

Ebbene, il codice fileless, una volta entrato in un sistema informatico, non crea copie di sé stesso sotto forma di file su disco e, in questo modo, evita di essere individuato dalle tecniche tradizionali, utilizzando ad esempio un monitor antivirus.

Come può esistere un tale “malware fantasma” all’interno di un sistema? In realtà, risiede nella memoria di processi affidabili! Ah, sì. Proprio così.

Su Windows (in realtà, non solo Windows), è sempre esistita la possibilità di eseguire un codice dinamico che, in particolare, viene utilizzato per il compilatore just-in-time; cioè, il codice del programma viene trasformato in linguaggio macchina non subito, ma quando è necessario e nel modo in cui è necessario. Questo approccio aumenta la velocità di esecuzione per alcune applicazioni. E per supportare questa funzionalità, Windows permette alle applicazioni di inserire il codice nella memoria del processo (o anche in un’altra memoria di un processo affidabile) e di eseguirlo.

Non è una grande idea dal punto di vista della sicurezza, ma cosa si può fare? Da decenni milioni di applicazioni eseguite su Java, .NET, PHP, Python e altri linguaggi e per altre piattaforme funzionano in questo modo.

Come era facile prevedere, i cybercriminali hanno approfittato della possibilità di utilizzare il codice dinamico, inventando vari metodi per utilizarlo per i propri scopi. E uno dei metodi più comodi e quindi più diffusi è la cosiddetta Reflective PE injection. Che cosa? Lasciate che vi spieghi (in realtà, è un argomento piuttosto interessante, quindi abbiate pazienza)…

Lanciare un’applicazione cliccando su un’icona, un’operazione abbastanza semplice e diretta, giusto? Sembra semplice, ma in realtà, dietro ci sono tante operazioni in ballo: viene richiamato un loader di sistema, che prende il rispettivo file dal disco, lo carica in memoria e lo esegue. E questo processo standard è controllato dai monitor antivirus, che controllano al volo la sicurezza dell’applicazione.

Ora, quando c’è un “riflesso”, il codice viene caricato bypassando il loader del sistema (e quindi anche il monitor antivirus). Il codice viene posto direttamente nella memoria di un processo affidabile, creando un “riflesso” del modulo eseguibile originale. Tale riflesso può essere eseguito come un modulo reale caricato con un metodo standard, ma non è registrato nella lista dei moduli e, come detto sopra, non ha un file sul disco.

Inoltre, a differenza di altre tecniche di iniezione del codice (per esempio, tramite shellcode), le reflected injection consentono di creare un codice funzionalmente avanzato in linguaggi di programmazione ad alto livello e framework di sviluppo standard con quasi nessuna limitazione. Quindi quello che si ottiene è: (i) nessun file, (ii) l’occultamento dietro un processo affidabile, (iii) l’invisibilità alle tradizionali tecnologie di protezione e (iv) via libera per causare un po’ di caos.

Quindi, naturalmente, le reflected injection hanno avuto un grande successo tra gli sviluppatori di codici dannosi: all’inizio apparivano in pacchetti di exploit, poi sono entrati in gioco le cyberspie (per esempio, Lazarus e Turla), i cybercriminali avanzati (perché è un modo utile e legittimo di eseguire un codice complesso!) e infine anche i cybercriminali di poco conto.

Ora, dall’altra parte della barricata, trovare una tale infezione fileless non è una passeggiata nel cyber-parco. Quindi non c’è da stupirsi che la maggior parte dei vendor di sicurezza informatica non sia troppo esperta. Alcune riescono a malapena a individuare il problema.

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Anche i bancomat non sicuri dovrebbero essere messi in quarantena!

Ogni anno, insieme ai mie compagni di viaggio, sono solito prendere più di cento voli in tutto il mondo.

Al giorno d’oggi paghiamo sempre con la carta o il telefono praticamente ovunque, e per lo più in modalità contactless grazie a Apple o Google Pay. In Cina si può anche pagare via WeChat quando si è al mercato a comprare frutta e verdura. E il tristemente famoso biovirus ha reso l’uso del denaro virtuale ancora più popolare.

A volte, però, si hanno strane sorprese: proprio a Hong Kong è necessario pagare in contanti per prendere un taxi, sempre! A Francoforte, tra tutti i posti nel mondo, l’anno scorso due ristoranti diversi hanno accettato solo pagamento in contanti. EH?! Abbiamo dovuto fare una lunga ricerca per trovare un bancomat e prelevare dei soldi invece di goderci il nostro brandy dopo cena. È disumano! 🙂 Comunque, tutto questo dimostra che, nonostante ci siano sistemi di pagamento moderni in tutto il mondo, sembra che ci sia ancora bisogno del buon vecchio bancomat ovunque, e sembra che questa necessità non svanirà così presto.

Dove volevo arrivare? Ah, certo, la sicurezza informatica!

Bancomat = soldi ⇒ che sono stati hackerati, che vengono hackerati e che continueranno a esserlo. In effetti, la situazione in questo senso non fa altro che peggiorare: le ricerche dimostrano come dal 2017 al 2019 il numero di bancomat attaccati dal malware sia più che raddoppiato (di un fattore pari a ~2,5).

Domanda: è possibile monitorare costantemente l’interno e l’esterno di un bancomat? Sicuramente sì, potrebbe essere stata la vostra risposta. In realtà, non è così…

Ci sono ancora molti sportelli bancomat nelle strade, nei negozi, nei sottopassaggi, nelle stazioni della metropolitana/treni con un collegamento molto lento. Hanno a malapena la banda larga sufficiente per gestire le transazioni e a malapena riescono a tenere d’occhio anche quello che succede intorno a loro.

Quindi, data questa mancanza di monitoraggio a causa della connessione di rete, siamo intervenuti per colmare questa lacuna e aumentare il livello di sicurezza degli sportelli automatici. Abbiamo applicato le best practices di ottimizzazione (di cui siamo esperti, con 25 anni di attività), e abbiamo anche ridotto radicalmente la quantità di traffico necessaria per la nostra “dose di vaccino” specifica contro le minacce ai bancomat: parliamo di Kaspersky Embedded Systems Security, o KESS.

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In cima alla Top-3: chiaro e trasparente, affinché tutti possano vederlo

Si potrebbe pensare che siamo stati fortunatici siamo trovati nel posto giusto al momento giusto: siamo partiti bene come impresa per poi diventare il vendor di soluzioni di sicurezza più importante al mondoMa sareste in errore se la pensaste in questo modo! Ora lasciate che vi racconti una storia… 

In realtà, tornando indietro nel tempo, proprio all’inizio del nostro lavoro come azienda antivirus, io mi sono posto ci siamo posti un obiettivo. Un obiettivo incredibilmente ambizioso.

Me lo ricordo bene. Io e il mio amico di lunga data, Alexey De Mont De Rique, eravamo alla fermata del tram aspettando il numero sei, non lontano dalla stazione della metropolitana di Sokol, a Mosca nel 1992, quando lavoravamo 12-14 ore al giorno (“Papà sta lavorando!” così mi chiamavano i miei figli). Suggerì ad Alexey che avevamo bisogno di “porci un obiettivo”. La sua risposta all’incirca fu così: “Ok. Quale obiettivo esattamente? Pensi davvero che dovremmo porcene uno, e quanto dobbiamo essere ostinati nel raggiungerlo? O qualcosa del genere, comunque. La mia risposta fu: “Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di creare il miglior antivirus al mondo! Alexey si mise a ridere, ma non disse di no. Al contrario, ci mettemmo semplicemente in cammino verso il raggiungimento della meta, lavorando duro più duramente e sempre con quell’obiettivo in mente. E ha funzionato!

Ma come ci siamo riusciti, esattamente? 

Con il duro lavoro (come abbiamo già ricordato), con l’inventiva e con la capacità di riuscire in qualche modo a sopravvivere e a prosperare in tempi molto difficili in Russia (la Russia dei primi anni ’90: il crollo dell’Unione Sovietica e della sua economia di comando, le lotte per passare “istantaneamente” a un’economia di mercato, l’inflazione, la disoccupazione, l’illegalità…)Lavorammo senza sosta. Io individuavo nuovi virus, Alexey programmava l’interfaccia utente e l’editor del database antivirus, Vadim Bogdanov (Assembler Jedi), utilizzava la Forza per mettere insieme i vari tool informatici per ciò che stavo facendo. Ebbene sì, nei primi anni ’90 eravamo solo in tre! Poi quattro, poi cinque, poi…

Ho iniziato questo post dicendovi che il nostro successo non è dovuto al fatto di essere stati al posto giusto nel momento giusto, vero? Beh, c’è stata anche un po’ di fortuna: nel 1994 si svolse la prima “Olimpiade degli antivirus al mondo, ovvero i primi test indipendenti di software di sicurezza presso l’Università di Amburgo. Certo, l’istituzione di questo test indipendente fu davvero una fortuna per noi, ma essere stati i primi di certo non fu dovuto alla nostra buona stella!  

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