C’è Wikipedia e Wikipedia

13:04, Tuesday, 10 2020 November UTC

Ieri mattina sul Bar di Wikipedia – il posto dove si possono fare discussioni generali sull’enciclopedia – un utente anonimo ha scritto questo:

Non ho inserito apposta la notizia del vaccino del covid, annunciato dalla Pfizer già da più di 2 ore, per realizzare sotto quale sasso vivono gli utenti di it.wikidpedia. La versione inglese ha già aggiornato, si vede che là ogni tanto escono da sotto il sasso

Con buona probabilità il tipo in questione è un troll, considerando i suoi ulteriori commenti “Come ho detto, vivete sotto un sasso. Fonte terza cartacea? [nota: io avevo commentato parlando di “fonti terze”, non certo cartacee] Come nel 1.800? Manco accendete la TV, figurarsi le news finanziarie, sarebbe troppo. Wikinotizie? Piuttosto lo metto su un blog a caso, che ha gli stessi visitatori” e “Nel mentre è stato aggiunto….giustamente, e da un IP anonimo, mentre i wikipediani esperti chissà quale voce del 1.800 stanno ampliando, che leggeranno solo loro…attenzione che sotto i sassi fa umido”. Ma questo non è poi così importante, considerato che quelle frasi possono essere pensate da tanta altra gente che non ha ben chiaro come dovrebbero funzionare le cose. (Occhei, è probabilmente vero che pubblicando qui ho più o meno gli stessi ascoltatori che se scrivessi su Wikinotizie, ma quella è un’altra storia). Provo quindi a spiegare ancora una volta ai miei ventun lettori come dovebbero funzionare le cose.

Una notizia come quella del vaccino viene da noi bollata come recentismo: qualcosa di cui non si sa ancora quanto sia effettivamente importante nel lungo periodo. Ma come, direte voi, un vaccino per il Covid non è una notizia importante? Sì, quando effettivamente avrà l’ok delle autorità sanitarie lo sarà. Peccato che in questo momento il vaccino non ci sia: dopo i titoloni vari e il boom in borsa, si è scoperto che Pfizer si era “casualmente” dimenticata di aggiungere che il suo vaccino è ancora in corso di sperimentazione, e i risultati pubblicati erano preliminari. Insomma, non esattamente una notizia per cui non avere aggiornata la voce Pfizer dopo due (2) ore dall’annuncio fa cascare il mondo: nulla di troppo diverso da tutti i vaccini Covid fatti in Russia. Scrivere “informazioni” come quelle serve giusto come cassa di risonanza ai comunicati stampa aziendali. Non serve per nulla a chi sta cercando una notizia, visto che – come scrivevo qualche giorno fa – Wikipedia non è internet, e la notizia era presente più o meno ovunque. Ricapitolando: correre dietro i comunicati stampa serve solo a distogliere l’attenzione dal resto, e porta il rischio di scrivere falsità. Falsità che poi si possono correggere, certo: ma non si fa più in fretta a non scriverle direttamente?

Ultimo punto. Wikipedia in lingua inglese ha fatto una scelta diversa? È un loro diritto. Ogni edizione linguistica ha la sua comunità e fa delle scelte. Su en.wiki c’è una quantità di roba a mio parere assolutamente inutile; ce n’è parecchia anche su it.wiki, ma lì si va a ordini di grandezza superiore. Lo spazio disco costa poco, ma questo non significa che bisogna infilare di tutto: più roba c’è, tra l’altro, più è difficile controllarla. Io ritengo che le scelte di Wikipedia in lingua italiana siano migliori di quelle dell’edizione inglese: voi fate pure come volete :-)

Wikipedia non è l’Internet

03:04, Friday, 06 2020 November UTC

Ieri sono stato evocato su Twitter, in qualità di ideologio wikipediano, a proposito dei contenuti di questo podcast di Rick DuFer (Riccardo Dal Ferro). Il mio giudizio tl;dr è stato quello del titolo di questo post: “Wikipedia != Internet”. Ma visto che sono in disaccordo con praticamente tutto quanto detto nel podcast, tanto vale che metta giù qui gli appunti che mi sono preso mentre ascoltavo il podcast, in modo da permettere a chi è interessato di sentire l’altra campana.

Cominciamo subito con il caso che ha fatto partire il tutto: nelle elezioni americane di martedì scorso, una delle polemiche secondarie è stato il caso di Theresa Greenfield, candidata al Senato in Iowa che però non aveva una voce su Wikipedia (in inglese) fino a metà ottobre. La voce relativa a Greenfield veniva sempre cancellata, dando come motivo il fatto che la candidata in questione non fosse sufficientemente rilevante; d’altro canto la sua avversaria, essendo la senatrice in carica, aveva ipso facto una voce nell’enciclopedia. DuFer si scaglia contro la mancanza, affermando che è un segno dei bias di Wikipedia. Io faccio notare che è un po’ difficile parlare di bias rispetto a una decisione che sarà stata presa dieci anni fa, e che dunque – giusta o sbagliata che sia – non ha nulla a che fare con il caso specifico ma rispecchia un criterio generale. Il criterio tra l’altro c’è anche in Wikipedia in lingua italiana. Durante le elezioni 2016 a sindaco, Virginia Raggi e Chiara Appendino non hanno avuto una voce su di loro finché non sono diventate sindache di Roma e Torino. (Stefano Parisi ce l’aveva, ma perché era ritenuto rilevante per altre ragioni, come del resto Beppe Sala). Le comunità di Wikipedia in italiano e in inglese hanno ritenuto che essere semplicemente candidati non basta: è una decisione sicuramente “politica” che in futuro potrebbe essere rovesciata, ma è assolutamente neutra, nel senso che non nasce per fermare una certa parte politica.

A proposito di neutralità: no, non è la varietà delle fonti, come raccontato nel podcast. Il concetto è più complicato: le fonti non devono essere semplicemente varie ma avere un peso più o meno proporzionale a quanto la conoscenza comune afferma. Banalmente, non è che nella voce “Figura della Terra” occorre che i terrapiattisti abbiano lo stesso risalto di chi ritiene che la terra sia più o meno sferica; viene giusto lasciato un collegamento alla voce Terra piatta. Questo è stato un punto fermo sin da quando Wikipedia si è trasformata in un’enciclopedia… perché Wikipedia non è nata come enciclopedia! Se non lo sapete, il 15 gennaio del 2001 venne creato il sito wikipedia.com (!) per raccogliere informazioni che poi sarebbero state vagliate ed eventualmente usate da una redazione (!!) per compilare una “vera” enciclopedia, Nupedia. La storia è poi girata in maniera completamente diversa: Nupedia è morta senza lasciare traccia e Wikipedia ha preso il suo posto come enciclopedia. E quello (parliamo del 2003… è stato il momento in cui Wikipedia si è necessariamente “burocratizzata”, seguendo la terminologia di DuFer. La cosa era necessaria per l’ottima ragione che non può né vuole essere orizzontale, ma vuole categorizzare la conoscenza: in modo non definito dall’alto e sicuramente imperfetto, ma facendo comunque delle scelte.

D’altra parte tutti i ragionamenti di DuFer partono da un punto di vista errato: esattamente come Facebook non è Internet, Wikipedia non è Internet. Wikipedia è un sito. Tra l’altro, non è un sito di informazione; il fatto che la gente si informi su Wikipedia è un problema innanzitutto per la gente ma anche per Wikipedia che si trova tirata per la giacchetta e intimata ad aggiungere “informazioni” (la biografia di Greenfield…) che possono essere tranquillamente trovate nel resto della rete. La storia che Wikipedia sarebbe dovuta essere qualcosa di diverso per l’informazione è semplicemente un falso: ha sempre voluto essere una raccolta meditata di informazioni, un utile punto di partenza ma non certo la Verità Rivelata.

Altro punto su cui sono in totale disaccordo è quello riguardante la disintermediazione. Per me è ovvio che la disintermediazione non esiste né può esistere, a meno che ci sia una nicchia così minuscola che chiunque può vedere tutto… Sì, DuFer ha ragione quando dice che all’inizio si era in pochi, si era elitisti, e quindi non c’era intermediazione. Io sono in rete da trentasei anni, ho ben presente quello di cui si parla. (Prima probabilmente non si poteva nemmeno parlare di elitismo quanto di sparuti gruppetti…) Ma non siamo più in quel mondo, nel bene o nel male. C’è troppo materiale per non avere un certo tipo di filtro. I podcast – per fare il suo esempio – sono ancora in numero forse trattabile se ci si limita a quelli in italiano, ma quelli in inglese stanno già ben oltre quella soglia. Lo stesso vale per Wikipedia: non può disintermediare, perché troppo grande. Non esiste un mondo perfetto in cui ci sia pura disintermediazione: avresti comunque l’intermediazione dell’algoritmo di ricerca – o dell’algoritmo di presentazione come in Facebook, o di un algoritmo che “ti presenta i contenuti che dovrebbero essere più rilevanti per la tua user experience”. D’altra parte, la “redazione di Wikipedia” da lui auspicata cosa sarebbe se non un’intermediazione?

Termino con due piccole note. Una in realtà non è una nota ma un appunto che mi sono preso e non riesco più a inserire nel contesto: verso la fine DuFer ha detto qualcosa per cui ho commentato “elitismo != gerarchizzazione” ma non mi ricordo assolutamente a quale proposito (e no, non mi rimetto ad ascoltare il podcast :-) ). La seconda è una bocciatura di nuovo totale del suo concetto per cui sarebbe necessaria una “responsabilità dei creatori dei contenuti”. No, il mondo non funziona così. Non puoi sperare che i creatori di contenuti siano tutti responsabili; per questo migliaia di persone passano il tempo su Wikipedia a fare “le operazioni burocratiche” che tanto poco gli piacciono perché tarpano la disintermediazione. Purtroppo bisogna anche fare i conti con la realtà.

Scriviamo spesso di libertà di panorama, un argomento ricorrente di queste pagine da quando abbiamo cominciato a occuparci dei numerosi problemi posti dalla normativa italiana a Wiki Loves Monuments e in generale alla diffusione della conoscenza sul patrimonio culturale in Italia. Oggi riprendiamo alcune riflessioni del professore Daniele Manacorda, che offre un punto di vista alternativo.

Abbiamo anche pubblicato un’intervista di Marco Maiocco al professor Manacorda sul medesimo tema.

Innanzitutto Manacorda inquadra l’importanza della questione delle riproduzioni, tutt’altro che secondaria nella generale politica di gestione dei beni culturali in Italia:

In questo elenco di follie che l’occhiuta gestione del “mercato delle riproduzioni” comporterebbe occupa un posto del tutto particolare la questione della libertà di panorama, ovvero del diritto di fotografare e riprodurre opere esposte al pubblico dominio. Più che surreale, marziana (nel senso di priva dei caratteri propri della specie homo sapiens), è l’idea che la libertà di panorama possa essere negata per manufatti storici, non importa di quale qualità, risalenti a secoli e secoli addietro, oggetto magari per generazioni delle più raffinate raffigurazioni da parte di artisti, viandanti, pellegrini e turisti e oggi preclusi alla pubblica documentazione in nome del combinato disposto di tre articoli-mostro del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, altrimenti detto Codice Urbani.

Manacorda si rifà quindi alla migliore accademia, come gli scritti del professor Giorgio Resta:

Resta 2013 cita in proposito un limpido pensiero di A. Rouast risalente al lontano 1919: «Un paesaggio appartiene a tutti; ognuno può non soltanto contemplarlo liberamente, ma anche disegnarlo, fotografarlo e riprodurre il proprio disegno o negativo». Oggi – commenta Resta – assistiamo invece ad «una crescente espansione delle prerogative dominicali a detrimento della libertà di informazione e di iniziativa economica dei terzi».

No, non è attraverso cavilli giuridici capziosi che sarà possibile arginare la libera riproduzione dei beni esposti al pubblico dominio senza coartare la libera espressione del pensiero.

Basterebbe rifarsi alle più sensate prese di posizione del Governo Prodi, che nel lontano 2008 aveva considerato lecito fotografare per qualunque scopo anche commerciale i beni esposti alla pubblica vista distinguendo «tra beni culturali visibili esternamente dal quivis de populo e beni culturali collocati, invece, all’interno dei monumenti»

Purtroppo anche queste interpretazioni hanno incontrato delle resistenze da parte di persone che adducono ragioni economiche, che però sono gravide di conseguenze:

Come lascio valutare quale ideologia si celi, magari inavvertitamente, dietro a queste posizioni [contrarie alla libertà di panorama]: dove si decide se un introito valga più o meno di una libera manifestazione del pensiero? chi decide, in altre parole, quale sia il “bene degli altri”? se è già problematico attribuire in toto alla politica, attraverso le istituzioni pubbliche, un simile delicatissimo compito, quanto improprio sarebbe affidarlo alle pratiche della Pubblica Amministrazione! Il guaio è che attorno a questa sindrome del balzello (che dovrebbe paradossalmente ridurre la pressione fiscale!) [chi sostiene l’attuale regime] costruisce un castello di organi e procedure ispirato ad una pervasiva cultura del controllo, che – sia detto per inciso – la Pubblica Amministrazione dovrebbe proficuamente esercitare in molti campi delle attività economiche e sociali, ma che sarebbe altamente raccomandabile tenere lontana dal comparto culturale. Un occhiuto Grande Fratello dovrebbe dunque garantire la collettività che essa stessa non si stia attribuendo la libertà di usare del proprio patrimonio culturale. Un esercito di controllori dovrebbe gestire una mastodontica operazione di spionaggio pubblico pronti a carpire scatti indebiti e, peggio ancora, usi indebiti di ciò che è di tutti. Dov’è lo scandalo? la domanda giusta da porsi sembra a me infatti tutt’altra: chi e che cosa vieterebbe l’uso del patrimonio culturale a fini di promozione commerciale? e ancora: perché dovremmo vietarlo? Se la risposta è per “la dignità del patrimonio”, ne accennerò in seguito (cfr. infra); se non è questione di dignità, ma di tutela di un presunto monopolio in capo al proprietario del bene materiale anche del valore immateriale ad esso associato, almeno non usiamo argomenti ideologici (dignità e quant’altro) e diciamo, pane al pane e vino al vino, che vogliamo uno stato “bottegaio”, che si misura nell’arengo economico su di un piano di pura concorrenza commerciale di basso profilo, che non vede gli altri aspetti costituzionali del tema, e risolve la questione nei termini di quella gestione diretta monopolistica […].

Quindi ben venga la libera utilizzazione da parte di privati, imprese, associazioni con o senza scopo di lucro di ogni sorta di immagine liberamente tratta dal nostro patrimonio culturale, per il quale quei segni costituiranno un possibile volano pubblicitario di ulteriore diffusione di conoscenza e quindi di apprezzamento del brand Italia. E ben venga naturalmente che anche singole istituzioni culturali si dotino di marchi registrati […]: una opportunità concessa loro dal Codice della proprietà industriale, che è legittimo domandarsi quanto possa essere interpretata quale una riserva esclusiva di utilizzo della fonte ispiratrice del segno.

Secondo Manacorda, una chiave fondamentale per risolvere la questione è ricordarsi della differenza fra beni rivali e ben non rivali:

Come si esce da questo garbuglio? Sembra abbastanza evidente che il problema principale sia posto proprio da quegli articoli del Codice che normano le concessioni. Abbiamo visto la incoerenza dell’art. 108. […] Beni materiali e beni immateriali sono quindi programmaticamente mescolati e confusi […]. Le riproduzioni di immagini attengono infatti alla concessione d’uso di un bene immateriale, mentre le riprese televisive comportano comunque anche l’uso degli spazi […] usi, che in un caso (quello delle concessioni d’uso degli spazi così come dei beni materiali del patrimonio) sono indubbiamente rivali, mentre per quanto riguarda le riproduzioni di immagini sono palesemente non rivali (Maurizio Franzini 2011). In altri termini, mentre cedendo l’uso di uno spazio o di altro bene pertinente a un istituto o a un luogo della cultura, se ne impedisce contestualmente il godimento da parte di altri possibili fruitori, e ciò giustifica il titolo oneroso della concessione; nel caso delle riproduzioni di immagini, l’uso da parte di un singolo, di un ente, di una impresa, di una comunità non ne impedisce in alcun modo il godimento contestuale da parte di altri, dal momento che il bene è posto, nella sua immaterialità, a disposizione di tutti.

La distinzione concettuale e operativa tra usi rivali e non rivali dei beni culturali di proprietà pubblica potrebbe quindi portare un po’ di luce e di sereno in un campo dove l’economia della bottega prevale sulla considerazione più generale del bene pubblico in presenza di beni comuni immateriali. In altri termini, la condizione di non rivalità riconosciuta ai beni immateriali rappresentati dalle immagini del patrimonio culturale pubblico li esclude di fatto dal mercato, mentre è giusto che siano sottoposti al mercato quei beni il cui uso rivale li assimila di fatto a beni privati, ma di proprietà e di gestione pubblica. La liberalizzazione generale e completa dell’uso anche commerciale delle immagini darebbe loro lo statuto di beni pubblici non escludibili, sottratti al mercato, e quindi anche all’uso improprio che potrebbe esserne fatto dai giganti della comunicazione globalizzata. E restituirebbe alla capacità delle comunità di produrre innovazione, informazione e cultura attraverso di essi, con generale giovamento del livello della produzione e diffusione culturale, da un lato, e della creazione di lavoro e ricchezza con le relative ricadute positive di carattere fiscale sulla finanza pubblica.

Si inserisce qui un aspetto, quello della dignità del patrimonio, che non possiamo approfondire in questa sede, ma che tende a confondersi con “la destinazione culturale del bene”, prevista dall’art. 106, comma 1 del Codice Urbani, oggetto di ampia discrezionalità. È evidente che il testo di legge fa riferimento a usi materiali dei beni, di carattere degradante o tali da «recare pregiudizio alla loro conservazione», e certamente non all’uso della loro componente immateriale. La tutela del decoro, «un concetto giuridico indeterminato» (Casini 2018), è un tema assai scivoloso. E ancor più foriero di ambiguità quando utilizzato «nella esigenza di assicurare una forma di “controllo” sull’originalità, sulla autenticità e sulla “veridicità” delle cose che costituiscono il patrimonio culturale» (ibidem). Basti fare un veloce riferimento al dibattito sullo statuto della copia e del falso, per rendersi conto che, almeno in questo campo, lo Stato potrebbe accontentarsi di garantire l’autenticità dei beni in sua proprietà, senza doversi accollare anche la ben più ardua fatica di “produrre certezza”.

Infine, Manacorda ribadisce i rischi per beni costituzionali superiori quali la libertà di espressione (art. 21) e insegnamento (art. 33) e la promozione della cultura (art. 9), se dovessero essere limitati da meri provvedimenti amministrativi del ministero:

[In Italia] non mancano le prese di posizione che giustificano le restrizioni alla libertà di espressione in nome di un presunto diritto (di chi? in base a quali principi?) ad evitare la “banalizzazione” del patrimonio culturale per assicurarne “un uso corretto”. Ma chi giudica se l’uso di una immagine sia o non sia consono? La politica, come in uno stato etico autoritario? L’amministrazione, come in uno stato tecnocraticamente occhiuto? La magistratura, in nome di un “comune senso del pudore” (Art. 527 Codice Penale)? Sperabilmente né l’una né l’altra né l’altra ancora […] oltre un secolo fa l’amministrazione statale della tutela ha ideato e diretto lo smantellamento del barocco da tutte le chiese del Regno perché quello stile non era “degno” e che Gian Lorenzo Bernini voleva demolire il mausoleo di Cecilia Metella per trarre almeno le pietre da quella vecchia rovina non “degna” di stare in piedi? Quando nel 1919 Marcel Duchamp mise i baffi con tanto di volgare didascalia alla Gioconda (no: all’immagine della Gioconda!) [chi difende il codice dei beni culturali] l’avrebbe forse deferito ai tribunali della Francia repubblicana? “Ma quella è un’opera d’arte!”. Già. E chi decide che cosa sia o non sia, oggi – e domani chissà? – un’opera d’arte? quale Agenzia, ente terzo o organo interno, si assumerà, e su quali basi giuridiche, questo immenso ingrato compito?

Mi limito solo a registrare quanto attuale sia un radicale ripensamento del ruolo della gestione pubblica in questo campo, che – assegnato dalla Costituzione alla Repubblica e non allo Stato – nella formulazione del Codice Urbani ha posto in capo addirittura al solo Ministero dei Beni Culturali alcune prerogative di esclusività, che vanno ben al di là del campo della tutela per occupare, nella prassi, anche quelli della valorizzazione e della gestione e, nella lettera dell’articolato, addirittura quello della ricerca, con risvolti di palese incostituzionalità che più prima che poi andranno pur risolti.

Nell’Immagine: Torre di Satriano, foto in concorso Wiki Loves Monuments 2019 di Michele Luongo, licenza CC BY SA, via Wikimedia Commons

itWikiCon: per conoscere Wikipedia e il suo ecosistema

15:07, Sunday, 01 2020 November UTC

Si è svolta lo scorso fine settimana la conferenze online dedicata a Wikipedia e i progetti Wikimedia. Hanno partecipato il fondatore di Wikipedia Jimmy Wales e lo storico Alessandro Barbero, nonché Katherine Maher, CEO di Wikimedia Foundation e tanti altri protagonisti che nel corso di questi anni hanno contribuito alla crescita e allo sviluppo della più grande enciclopedia del mondo. 

Le conferenze e le tavole rotonde hanno permesso di conoscere la comunità italiana del sapere libero e di scoprire il funzionamento dell’enciclopedia online Wikipedia e dei tanti progetti che fanno parte del suo ecosistema: è stata un’occasione per unirsi alla comunità italiana di Wikipedia e dei progetti Wikimedia. 

I temi affrontati sono stati tantissimi:  educazione, istituzioni culturali, uso ludico dei progetti, mappe e rappresentazioni visive, diritto d’autore, libertà di panorama e le strategie del movimento Wikimedia per il futuro. Queste ultime presentate proprio dal direttore esecutivo della Wikimedia Foundation Katherine Maher.

Un momento particolarmente arricchente è stato l’intervento dello storico medievalista Alessandro Barbero,  guidato da Iolanda Pensa, wikipediana e socia attiva di Wikimedia Italia, la quale gli ha posto moltissime domande. Lo stesso intellettuale ha ricambiato in modo molto generoso con altrettante risposte. Ha esordito dicendo: «Io uso continuamente Wikipedia e ne penso tutto il bene possibile.» Non male come inizio. 

Ha dato molti spunti di riflessione a cui la comunità risponderà in un nuovo confronto.
Tra tutti i temi interessantissimi che ha toccato quello forse più stimolante riguarda la storia contemporane. Questo è un punto critico perché vi è un sovrapporsi di diversi problemi sui fatti che sono più vicini a noi: a monte, vi è quello generale del Paese. Ci sono delle forti spaccature e contrapposizioni ideologiche. Fascismo, resistenza, liberazione, risorgimento, Savoia e Borboni, continuano a essere trattati non in chiave storica, ma ideologica.
Questo problema si pone sempre quando si trattano questi argomenti con uno strumento aperto a un grande pubblico.

Una voce enciclopedica dovrebbe essere studiata in modo molto specifico per non dare adito a questioni ideologiche. Quindi è fondamentale quando si affrontano questione spinose separare le informazioni fattuali e indicare nei rimandi invece tutte le interpretazioni che si trovano, citandone la fonte.  C’è da considerare una cosa fondamentale: un’informazione con una fonte non è detto che sia corretta, certa, vera e sicura. In ambiti controversi circolano notizie false che si reiterano. E allora queste ultime devono essere indicate come opinioni di parte, frutto di un dibattito tendenzioso o ideologico. Si possono dunque citare queste interpretazioni attribuendole allo storico che le propone.

La fonte è ciò che ci arriva direttamente dall’epoca che stiamo studiando. Gli storici scrivono articoli e interpretano. Questi contenuti prodotti diventano bibliografie e citazioni. Un libro di storia ha tanto più peso se possiede fonti in senso stretto. Sarebbe bellissimo se Wikipedia facesse questa differenza, indicando anche dove si possono trovare i documenti dell’epoca. Ma cadremmo in una trappola? Dal punto di vista dello storico Wikipedia ha una certa antipatia nei confronti delle fonti originali. Potrebbe essere interessante consentire la ricerca originale? Uno spunto stimolante sul quale la community è chiamata a riflettere.

Gli interventi sono proseguiti e sono stati talmente tanti, ricchi e avvincenti che ci vediamo costretti a sorvolare su molto.
Un approfondimento va fatto su un tema molto caldo di questo periodo particolare: stiamo vivendo un momento di incertezza generale e gli strumenti che offre Wikipedia, insieme all’ecosistema che la circonda, possono essere un validissimo supporto alla didattica e al mondo della scuola la cui prosecusione in presenza, nel momento in cui scriviamo, è messa molto in forse.

Tutte queste piattaforme consentono di sviluppare competenze digitali e informative anche riguardo la digital literacy, la web reputation e la privacy, promuovendo:

  • il passaggio dei ragazzi dal ruolo di fruitori passivi del web al ruolo di fruitori critici e coproduttori di contenuti;
  • la capacità di selezionare, filtrare, valutare, utilizzare le informazioni con maturità e consapevolezza sviluppando un sistema critico di analisi delle fonti, anche quale anticorpo fondamentale alle fake news;
  • la condivisione e il riutilizzo di materiale presente in rete secondo corrette licenze di pubblicazione e nel rispetto della legalità;
  • un approccio aperto e collaborativo alla produzione di contenuti condivisi e di Risorse Educative Aperte (OER) e valori legati all’appartenenza ad una community. Qui trovi approfondimenti: https://www.wikimedia.it/wikimedia-per-la-conoscenza-libera/wikimedia-per-listruzione/

Il mondo è cambiato molto da quando è nata Wikipedia, nel 2001. Il prossimo gennaio 2021 Wikipedia compirà20 anni. Di questo, invece, ha parlato Katherine Maher, direttore esecutivo della Wikimedia Foundation. La Strategia 2030 prevede che Wikimedia si affermi come l’infrastruttura essenziale dell’ecosistema della conoscenza libera, e chiunque condivida la sua visione potrà unirsi a questa organizzazione internazionale, in modo ancora più ampio rispetto a oggi. 

Questo grande movimento è incentrato sulle persone e apporterà cambiamenti alla nostra cultura, costruendostrutture per affrontare i bisogni e le sfide dei partecipanti attuali, così come delle comunità emergenti e future. Le aspirazioni strategiche del nostro movimento saranno raggiungibili solo se ci sarà apertura per la ridistribuzione delle strutture di potere nella comunità offline e un riconoscimento a livello di movimento della nostra responsabilità reciproca. E’ necessario un maggiore decentramento dell’organizzazione perché possa essere più inclusiva. E’ necessario un maggiore confronto con realtà i cui interessi coincidono, per amnpliare la partecipazione di nuovi soggetti. E’ necessario costruire nuove partnership per raggiungere gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

E poi Jimmy Wales cofondatore di Wikipedia, che ha parlato dell’evoluzione dell’enciclopedia libera, come potrà continuare a trasformarsi in un mondo che propone sfide nuove. Presto saranno visibili tutte le sessioni registrate: https://2020.itwikicon.org/

Erica Pedone

Nell’immagine: Il logo della itWikiCOn 2020 realizzato da Virginia Foti, Francesco Serra, licenza CC BY SA via Wikimedia Commons

Avviati i corsi del bando “Diventa Wiki-docente”

10:45, Friday, 30 2020 October UTC

Sono partiti i tre corsi erogati gratuitamente da Wikimedia Italia a circa 100 docenti che si sono candidati tramite il bando “Diventa wiki-docente”. I  corsi sono riconosciuti dal MIUR attraverso la piattaforma SOFIA.

Vari soci esperti sono coinvolti come docenti e come tutor per aiutare i partecipanti nella contribuzione online ai contenuti dei vari progetti.

– Educazione al patrimonio culturale digitale con i progetti Wikimedia

Il corso, tenuto da Marco Chemello come docente e da Federico Benvenuti e Luca Martinelli come tutor, ha 26 iscritti ed è finalizzato a fornire ai docenti indicazioni pratiche per la progettazione di attività didattiche finalizzate allo sviluppo dell’educazione al patrimonio culturale, artistico e paesaggistico attraverso la partecipazione attiva degli studenti ai progetti della galassia Wikimedia (Commons, Wikipedia, Wikivoyage, Wiki Loves Monuments), sviluppando una serie di competenze trasversali. Se sei interessato ad avere maggiori informazioni, le puoi trovare sulla in questa pagina pubblica su Wikipedia.

– A scuola con Wikipedia: information literacy e scrittura collaborativa

Il corso, tenuto da Luigi Catalani e Niccolò Caranti in qualità di docenti e Luca Martinelli e Ignazio Ligotti in qualità di tutor, ha 50 iscritti. Ha l’obiettivo di permettere ai docenti di sviluppare a loro volta percorsi formativi finalizzati al potenziamento delle competenze informative digitali dei propri studenti, attraverso la partecipazione attiva alla più grande enciclopedia libera online. Anche qui puoi trovare maggiori informazioni nella relativa pagina pubblica su Wikipedia.

– Openstreetmap: il database geografico collaborativo per la conoscenza del territorio

Il corso a cui partecipano 25 docenti è tenuto dai coordinatori OSM Alessandro Sarretta, Lorenzo Stucchi e Matteo Zaffonato con il supporto come tutor di Marcello Arcangeli, Lucia Argento, Federica Gaspari e Anisa Kuci. Con questo percorso i docenti apprendono come funziona OpenStreetMap, come poter contribuire a migliorare la mappatura del proprio territorio raccogliendo dati geografici mediante l’uso di smartphone e apposite app, come utilizzare i dati geografici e produrre una mappa personalizzata. In classe l’utilizzo di OpenStreetMap permetterà una didattica concreta, pratica e collaborativa dove sperimentare e consolidare le competenze digitali, geografiche e di cittadinanza attiva.

Tutti questi corsi sono erogati sulla piattaforma Moodle di Wikimedia Italia, sotto il coordinamento della Responsabile Istruzione di WMI Giovanna Ranci. Articolati ognuno in sei-sette incontri di due ore più un lavoro di contribuzione svolto individualmente in remoto dai partecipanti, i corsi termineranno prima di Natale così da permettere ai docenti che vorranno di sperimentare le piattaforme wiki/OSM con le loro classi nel secondo semestre dell’anno scolastico 2020/21, anche in modalità a distanza. 

Nell’immagine: un momento della plenaria di chiusura dell’itWikiCon2018 di Niccolò Caranti , licenza CC BY SA via Wikimedia Commons

9 edizioni di WikiLovesMonument Italia

10:33, Thursday, 29 2020 October UTC

Sono passati già 9 anni dalla prima edizione di WikiLovesMonument Italia e 10 anni dalla prima edizione in assoluto di WikiLovesMonuments, il successo di questo concorso ha fatto si che diventasse il concorso fotografico più grande di sempre. Ma come siamo arrivati alla sua decima edizione? Molto probabilmente, quando fu istituito per la prima volta nessuno si sarebbe aspettato un’evoluzione del genere. 

Sebbene la prima edizione sia è tenuta nel 2010, bisogna fare un salto indietro ancora di un altro anno: il 2009, in cui vi è stata la prima (ed unica) edizione del concorso Wiki Loves Art. Questo concorso è stata un’idea di Wikimedia Netherland: grazie ad un accordo con più di 45 musei dei Paesi Bassi, centinaia di fotografi amatoriali hanno potuto scattare fotografie delle loro collezioni con lo scopo di inserirle su Wikipedia. Il concorso ha avuto una buona partecipazione con più di 4000 scatti, che vennero caricati su Flirck.

Vista la buona partecipazione, Wikimedia Netherland ha pensato di riporlo l’anno successivo nella versione che noi tutti oggi conosciamo : dalle collezioni dei musei siamo passati ad avere come oggetto i Rijksmonuments (letteralmente “monumenti del regno”).

Ma anche se in un format rinnovato, l’idea alla base è rimasta la stessa: aggiungere foto con licenza libera nelle pagine in cui queste mancavano. La risposta del pubblico è stata ancora più notevole poiché sono state inoltrate più di 12.500 fotografie.

L’eco del successo è arrivato anche agli altri capitoli di Wikimedia, così l’anno successivo il concorso è stato esteso a livello europeo (arrivando a 18 paesi partecipanti e 168.208 fotografie, vincendo il Guinness World Record) e l’anno successivo a livello mondiale (arrivando a 35 paesi partecipanti e 363.000 fotografie). Negli anni il concorso ha visto sempre una maggiore partecipazione con il susseguirsi di partnership ed endorsement importanti tra cui la Commissione Europea, il Consiglio d’Europa e l’UNESCO.

Dal suo inizio, WLM ha collezionato quasi 2 milioni e mezzo di fotografie da 76 concorsi nazionali inoltrate da più di 60.000 partecipanti.

L’edizione italiana del concorso è presente dal 2012, anno in cui hanno partecipato 803 concorrenti caricando 7.700 fotografie. Anche in Italia il concorso è cresciuto moltissimo toccando nella sola scorsa edizione 925 partecipanti e 25.889 fotografie caricate sempre su Commons con licenza libera CC-BY-SA.

Partecipare a WLM significa soprattutto contribuire ai progetti Commons e Wikipedia. Forse è l’esperienza più immediata e diretta di partecipazione e come ci ricorda Joe Sutherland (volontario per la comunicazione di Wikimedia Foundation), è un attività che non richiede esperienze, conoscenze specifiche o grandi disponibilità di tempo come può essere l’editing di una voce di Wikipedia, ma anche questo è un contributo di fondamentale importanza per il mondo della conoscenza libera.

Edoardo Tallarico

Per saperne di più

Nell’immagine: la foto vincitrice dell’edizione 2019, Licenza CC BY SA via Wikimedia Commons

Dieci piccoli musei e istituzioni culturali in Italia

10:19, Thursday, 29 2020 October UTC

Il 30 settembre si è chiuso il bando “10 piccoli musei” con l’assegnazione dei vincitori. Wikimedia Italia fornisce un contributo a 10 piccole realtà museali di varie regioni italiane. Queste realtà si impegnano a condividere in parte – o integralmente – il proprio patrimonio culturale sulle piattaforme wiki, aiutate da wikimediani locali che renderanno possibile lo svolgimento delle varie attività.

In questo periodo di emergenza sanitaria che ha messo fortemente in crisi le istituzioni culturali e in particolare le piccole realtà museali, possiamo comunicare con molta soddisfazione che abbiamo ricevuto in tutto 37 candidature e tra questi sono stati selezionati 10 musei. Il risultato ha tenuto conto anche della distribuzione geografica, ammettendo un massimo di due musei per regione. Abbiamo quindi 9 regioni rappresentate.

I vincitori, a cui vanno i nostri complimenti, sono questi enti:

  • Calabria: Museo di Storia dell’Agricoltura e della Pastorizia di Morano Calabro (Cosenza), impegnato dal 2017 in un processo di rigenerazione per divenire un vero centro culturale e non solo luogo di conservazione.
  • Lazio: Museo Archeologico Virtuale di Narce – MAVNA a Mazzano Romano (Roma). Le attività coinvolgeranno il personale del museo, rappresentanti degli altri musei del Sistema Museale MANEAT (Formello, Sutri, Trevignano e Campagnano), studenti di alternanza scuola-lavoro, wikimediani esperti e altri volontari.
  • Veneto: Musei Altovicentino; è una rete museale territoriale che conta 17 amministrazioni aderenti e circa 60 tra musei, collezioni e siti di interesse culturale.
  • Campania: Museo Michelangelo di Caserta. Un museo scientifico molto attivo nella didattica, di proprietà dell’istituto tecnico statale “Michelangelo Buonarroti” di Caserta.
  • Sicilia: Museo Civico di Niscemi. L’ente e i suoi collaboratori hanno già preso parte a varie edizioni di Wiki Loves Monuments.
  • Liguria: Museo di Chimica di Genova; le attività del bando sono gestite dall’Associazione Didattica Museale (ADM). Il museo, gestito dal Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale (DCCI) dell’Università di Genova, è nato ufficialmente nel 1999.
  • Toscana: Fondazione Scienza e Tecnica; intende mettere a disposizione contenuti collegati alle collezioni di interesse storico-scientifico, alla loro storia e alla storia dell’istituzione che li ha acquisiti nell’Ottocento.
  • Sempre in Toscana: la Cooperativa di Comunità “La C.I.A. – Cultura Innovazione Ambiente” gestisce un interessante progetto a Palazzuolo sul Senio (Firenze), nella zona dell’alto Mugello, vicino al versante romagnolo dell’Appennino. La cooperativa di comunità è una nuova forma di società cooperativa che si occupa di co-progettazione con tutte le realtà del territorio.
  • Lombardia: Museo Fisogni delle stazioni di servizio; conserva la più grande collezione al mondo di oggetti sul tema, dal 1892 ad oggi.
  • Piemonte: Museo Diocesano San Sebastiano (Cuneo), che desidera condividere immagini professionali, documenti d’archivio, competenze e dati scientifici.

All’interno delle attività per ogni museo saranno svolte varie attività, come la condivisione delle immagini nelle piattaforme Wikimedia ma anche una parte di formazione per il personale, che coinvolge anzitutto il wikimediano con il supporto dello staff di Wikimedia Italia, che offrirà ai partecipanti sessioni online di approfondimento.

Siamo davvero molto soddisfatti del risultati ottenuti: si tratta della nostra prima iniziativa rivolta specificamente a questa fascia di istituzioni culturali, a cui teniamo e che sono – in realtà – moltissime in Italia, ma in genere poco conosciute e valorizzate. Alcuni di questi piccoli musei vengono in contatto per la prima volta con la comunità di Wikimedia, mentre altri avevano già iniziato a partecipare a Wiki Loves Monuments e a sviluppare delle attività con OpenStreetMap, Wikipedia o altri progetti Wikimedia.

Nel mese di settembre Wikimedia Italia ha aperto un altro bando per istituzioni culturali – questa volta di ogni tipo e dimensione – per ospitare dei wikimediani in residenza, di cui vi aggiorneremo i risultati non appena i lavori della giuria saranno conclusi.

Immagine: Vista su Morano Calabro con in cima il castello Svevo, sullo sfondo le creste innevate del Pollino, di Agos.vi, licenza CC BY SA da Wikimedia Commons

-La lezione di Internet per le città-

Rendere le città inclusive, sicure, resilienti e sostenibili potrebbe sembrare quasi un paradosso storico, la città infatti è un’entità comunitaria che nasce e si sviluppa proprio su questi quattro pilastri:

  • inclusività, necessaria per avere una popolazione numerosa e variegata in modo da avere una florida prospettiva sia commerciale che culturale;
  • sicurezza, quello che inizialmente cercavano i cittadini che lasciavano le campagne (non essere da soli di fronte ai pericoli ed avere la garanzia di una difesa della guardia cittadina) ed anche una sicurezza economica (chi si trasferisce in cerca di un lavoro e di prospettive di vita migliori);
  • la resilienza, avere e far parte di una comunità su cui contare diminuisce l’impatto di un danno;
  • la sostenibilità, le città sono nate perché vivere da soli o in pochi nella natura è sempre stato difficilmente sostenibile.

Saper mettere insieme le forze ha garantito standard di vita migliori, capaci appunto di sostenere la vita stessa e l’evoluzione dell’uomo. Certamente però, guardando la società di oggi, si può affermare che questi traguardi sono rimasti ancora degli ideali da raggiungere. Una persona qualunque che vive in un paese occidentale potrebbe argomentare in maniera valida che:

  • l’inclusività è solo effimera, infatti vengono perseguiti maggiormente (se non solo) gli interessi di pochi a scapito di minoranze, fasce deboli e soggetti fragili della popolazione;
  • non vi è sicurezza perché la criminalità e la violenza sono entrati troppo spesso all’interno anche delle istituzioni che dovrebbero proteggere i cittadini;
  • le infrastrutture che mantengono le città hanno resilienza pari a zero, la cronaca racconta quasi quotidianamente che con i primi segnali di maltempo le strade si allagano e i ponti crollano;
  • Non è più sostenibile vivere in città a causa dell’inquinamento acustico e ambientale. Inoltre è simbolo dell’insostenibilità poiché è solo luogo di consumo materiale spasmodico e non più terreno di produzione.

Già la modernizzazione e ancora di più il postmodernismo hanno contribuito a sviluppare la società in chiave più individualistica e scettica verso le grandi narrazioni (e quindi verso la coesione sociale).

Con il tempo sembrerebbe che si sia sgretolato il senso di comunità, quando per esso intendiamo: un gruppo di individui che occupa uno spazio ben definito e riconoscibile da terzi. Forse bisogna chiedersi se le città sono ancora comunità? Basta occupare uno spazio ben definito per avere appunto qualcosa in comune? Perchè in fondo parliamo di migliaia, milioni e a volte miliardi di abitanti. Cosa possono avere in comune così tante persone diverse per estrazione sociale, interessi, età, genere, etc..? Quali sono oggi i luoghi della socialità cittadina? Le piazze, i luoghi di aggregazione si sono trasferiti altrove: le discussioni dell’agorà e del foro si sono trasferite nei forum. Dalla sua nascita internet continua a crescere negli anni come numero di utenti, e questi utenti (diversi per estrazione sociale, interessi, età, genere, etc..) alla fine sono persone che parlano, discutono, comprano e vivono lo spazio virtuale. Se in passato vi era una contrapposizione tra realtà e virtuale: ormai è innegabile che la parte online è fondamentale ed integrata alla nostra vita offline. Non solo, lo spazio di discussione creatosi ha dato vita a nuovi discorsi prima impensabili: sta prendendo piede una coscienza e consapevolezza globale che era impossibile solo pochi anni anni fa. Affianco al citizen è arrivato il netizen ed internet è diventato un diritto umano perché tutte le persone dovrebbero essere autorizzate a connettersi ed esprimersi liberamente su online.

Internet ha fatto in modo che incontri e discussioni fossero su scala globale e le città (i paesi e tutti i conglomerati urbani) dovrebbero provare a puntare a ricreare questa rete anche nei loro territori, connettendo questo movimento globale anche ad una dimensione locale. Alla fine alla base di una città e di una community non vi dovrebbe essere appunto un senso di comunità, di partecipazione, di appartenenza?

Allora le città potrebbero innanzitutto provare a ricreare questo senso di partecipazione ed appartenenza riscoprendo e dandosi delle identità, a partire dai quartieri, per provare a stimolare un impegno civile e sociale dei cittadini anche offline.

Il contribuito di Wikimedia e di molte altre community on-line è un ottimo esempio e fonte d’ispirazione di come si possano davvero raggiungere questi quattro punti, con la consapevolezza che ovunque esistono sempre diritti, doveri e responsabilità. Internet ha contribuito e contribuisce ancora a fare dell’uomo un animale sociale e non solo un animale da social.

Edoardo Tallarico

Per saperne di più

  • A questo link sotto troverai un breve filmato con volontari da ogni parte del mondo sull’impatto di Wikipedia
  • Se vuoi sapere quali wiki-iniziative si svolgono sul tuo territorio, contattaci! Ti metteremo in contatto con i il tuo coordinatore locale. Puoi trovare la nostra casella e-mail a fondo pagina

Nell’Immagine: Logo SDG 11, Nazioni Unite Pubblico dominio

Percorsi agili: una web app per l’inclusione

08:55, Thursday, 29 2020 October UTC

Stanno iniziando i lavori per la progettazione della web app “percorsi agili” promossa da Wikimedia Italia, dedicata alle persone con abilità motorie differenti affinché possano organizzare i propri spostamenti in città e in altri luoghi.

Questo strumento avrà un sistema di navigazione integrato che permetterà di trovare il percorso migliore per l’utente per recarsi in un luogo specifico. Il progetto in fase iniziale coprirà l’area del Comune di Milano, con l’obiettivo di coprire sempre più territorio nelle fasi successive.

Per gli spostamenti in città è prevista la presenza di una mappa che consente di visualizzare le strutture ricettive (negozi, bar e ristoranti) prive di barriere architettoniche, le fermate degli autobus con rampe di accesso e le stazioni ferroviarie con ascensori e scivoli per raggiungere i binari. E questi sono solo alcuni esempi.

La web app si basa su OpenStreetMap – OSM il progetto di mappatura libera e collaborativa conosciuto anche come “la Wikipedia delle mappe”.

La comunità OSM contribuirà ad arricchire la mappa e nel caso mancassero informazioni ci sarà un’opzione che permetterà agli utenti di segnalarne la mancanza in modo da poter aggiungere tutte le informazinoi necessarie.

Il progetto prevede anche una serie di corsi di formazione in collaborazione con le associazioni che si occupano di persone con disasbilità dove verrà spiegato non solo come utilizzare l’app ma anche come aggiungere cio che manca sulla mappa.

“Percorsi agili” è un progetto che include, per migliorare la vita delle persone.

Nell’immagine: Lucha por la vida, graffiti di Daniel Capilla, licenza CC BY SA via Wikimedia Commons

Map for future: Somaliland e Etiopia

08:11, Thursday, 29 2020 October UTC

Wikimedia Italia ha supportato Map For Future nella realizzazione della mappatura di Waajale, un punto strategico al confine tra Somaliland e Etiopia. In questa area è previsto lo sviluppo di un importante snodo commerciale per il transito delle merci tra la capitale etiope Addis Abeba e il porto di Berbera sulla direttrice commerciale che parte da Wajaale e termina sulla costa del Somaliand del Nord (Golfo di Aden).

Questo mapathon, che si è svolto nell’ambito del Festival della Diplomazia nato a Roma nel 2009 e svoltosi nell’ultima decade di questo ottobre, è fondamentale per fornire alle autorità pubbliche le linee guida relative alla pianificazione urbanistica della città di Wajaale per la quale si prevede un grande sviluppo.

La cartografia si è trasformata ed oggi è in grado di avvalersi di strumenti digitali che ne hanno enormemente ampliato il potenziale. Un mapathon è un’azione condivisa che punta a tracciare mappe su immagini satellitari utilizzando OpenStreetMap (OSM): studenti, ONG, mappatori inesperti o esperti, associazioni e persone interessate, con competenze informatiche di base diventano così attori protagonisti di un’azione di volontariato da mettere a sostegno delle aree più svantaggiate del mondo.

Attraverso Wikimedia Italia è stata contattata la piattaforma HOT (Humanitarian OpenStreetMap Team) che ha attivato un Task (https://tasks.hotosm.org/projects/9349), sempre attivo per chiunque voglia contribuire individualmente, per realizzare la mappatura con l’obiettivo di tracciare il perimetro degli edifici e caricare tutti i poligoni sulla piattaforma OpenStreetMap (OSM) e rendere il dato geografico pubblico (Open-data).

Il risultato del lavoro svolto finora è stato presentato con un documentario (https://www.youtube.com/watch?v=wbTrHYyfQ4Q&feature=emb_logo), pubblicato online il 27 ottobre 2020, e inserito all’interno del Festival della Diplomazia.

La mappatura continuerà anche nel mese di novembre e gli appuntamenti futuri saranno segnalati nella pagina Facebook di Map for Future (https://www.facebook.com/mapforfuture/).

Map For Future è un laboratorio di volontariato condiviso tramite gli strumenti della Cartografia Digitale a sostegno delle aree più svantaggiate del mondo, con l’obiettivo di rafforzare e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.

Nell’immagine: Wajaale in Etiopia da Wikimedia Commons, licenza CC BY SA

Alessandro Barbero parla di Wikipedia

03:04, Tuesday, 27 2020 October UTC

Lo scorso weekend si è tenuta la ItWikiCon, la conferenza degli utenti di Wikipedia in lingua italiana. Naturalmente si è tenuta online, con tanti interventi. Uno di questi, per la gioia del suo fan club, è stata la conferenza di Alessandro Barbero (la potete rivedere qui). A parte che Barbero è un chiacchierone, mi ha favorevolmente stupito non solo il suo giudizio positivo su Wikipedia e la sua ammissione di consultarla – e di avere anche fatto delle correzioni… – ma anche l’acutezza nel vederne i punti di forza e di debolezza, pur chiaramente non conoscendo il nostro gergo interno. Sono felice, perché vuol dire che stiamo tutto sommato facendo un buon lavoro.

pensieri pochi ma confusi

16:29, Thursday, 15 2020 October UTC

Il Parlamento continua a occuparsi, anche se sottotraccia, della legge delega di recepimento delle direttive europee tra cui quella copyright che come wikipediano mi sta tanto a cuore. Martedì è stata presentata questa mozione, presentata da Valentina Aprea con altri quattro parlamentari di Forza Italia. Per chi non avesse voglia di leggerla tutta – ma non è lunga – l’executive summary è “Il pubblico dominio è così bello che preferiamo che non venga usato, ché altrimenti si potrebbe rovinare.”

Attenzione: il problema generale non è tanto la conclusione, che a me ovviamente non piace ma di per sé è legittima: immagino per esempio che chi possiede opere in pubblico dominio non voglia perdere la rendita di posizione sulle opere derivate. Il punto è che se un’opera è in pubblico dominio il diritto d’autore non c’entra più per definizione… E fortuna che Forza Italia si definisce un partito liberista.

(Per la cronaca, la Lega ha una mozione molto più condivisibile, mentre mi dicono che quello PD “è aria fritta”.)

Creval sostiene Wiki Loves Monuments per la promozione del patrimonio culturale italiano. La banca ha contribuito all’iniziativa inserendo nella lista alcuni palazzi di proprietà e coinvolgendo tutti i colleghi a partecipare attraverso l’invio di uno scatto fotografico; inoltre sarà sponsor per i premi del concorso nazionale che verranno consegnati il 28 novembre  presso la Sala Spadolini del MIBACT a Roma.

Sondrio, Palazzo Sertoli, Piazza Quadrivio, 8

Palazzi Sertoli, Giacconi e Paribelli formano un complesso architettonico posto nel cuore del centro storico di Sondrio. L’intervento di restauro e recupero funzionale ha garantito la conservazione degli elementi strutturali e di interesse storico-artistico, restituendo tali spazi all’uso quotidiano. Di notevole interesse il settecentesco salone da ballo e le opere d’arte antica e contemporanea, che arredano i palazzi e il giardino. Sulla corte rustica di Palazzo Sertoli si affaccia la Galleria Credito Valtellinese, da 30 anni promotrice d’iniziative espositive di rilievo.

Nell’Immagine, Palazzo Sertoli, di Marcello Abbiati

Sondrio, Grand Hotel della Posta, Piazza Garibaldi, 19

Costruito nel 1862 come “Hotel de la Poste” sulla nuova Piazza della Riconoscenza, che nel 1909 venne intitolata a Giuseppe Garibaldi, il Grand Hotel della Posta, divenuto nel 1947 proprietà dell’allora Piccolo Credito Valtellinese, è stato restaurato nel 2008, mantenendone il carattere storico, e riqualificato con finiture ed impiantistica moderne. All’interno, oltre ad arredi settecenteschi e biedermeier, si possono ammirare molte opere di arte moderna e contemporanea, tra cui la preziosa collezione di bronzi di Arturo Martini, il “Mur magnetique” di Takis, “L’ultima cena” di Filippo Avalle e, nei giardini, la serie di marmi delle “Ultime cene” di Daniel Spoerri.

Nell’immagine: Grand Hotel della Posta, di Andrea Murada

Acireale (CT), Palazzo Costa Grimaldi – Galleria, Credito Siciliano, Piazza Duomo, 12

Il seicentesco Palazzo Costa Grimaldi, già Sede di una delle storiche banche siciliane acquisite dal Creval nel 2002, presenta pregevoli elementi architettonici di epoca tardo-barocca: il portale monumentale in basalto e la loggetta del Collegio delle Suore Benedettine. Oggi l’edificio ospita diverse opere di artisti contemporanei tra cui alcune statue di Greco e Messina esposte nelle vetrine al livello pedonale del Palazzo; alcuni quadri di Sottile presenti nella sale della Filiale, e bassorilievi di Girbino, sullo scalone di ingresso alla Galleria.

Nell’immagine: Palazzo Costa Grimaldi

Nel 180esimo anniversario della sua nascita, la Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano Onlus intende valorizzare e far conoscere questo prezioso patrimonio documentario, anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Con questo intento nasce, grazie al contributo di Fondazione Cariplo, “Archivio Meraviglioso” un progetto che farà rivivere il patrimonio documentario dell’Istituto attraverso nuove modalità di fruizione.

​Grazie al progetto Archivio Meraviglioso è stata costruita una rete di collaborazione d’eccellenza con uno dei principali attori nazionali dell’innovazione culturale (l’associazione culturale cheFare), il soggetto di riferimento italiano della cultura libera (Wikimedia Italia), uno studio di design e data visualization milanese con collaborazioni archivistiche internazionali di altissimo livello (Calib.ro)  e uno dei più importanti Archivi di Stato d’Italia (l’Archivio di Stato di Milano).

L’Archivio Meraviglioso costruirà sperimentalmente una nuova pietra di paragone su tre livelli distinti ma compenetrati: quello dei pubblici di persone disabili visive; quello dei pubblici della cultura, del design, della scienza e dell’open culture a Milano e in Lombardia; quello dell’avanguardia internazionale sulla valorizzazione innovativa dei patrimoni archivistici.

L’obiettivo principale è contrastare la marginalità e l’esclusività dell’archivio rendendolo fruibile da tutti. La trasformazione del patrimonio archivistico dell’Istituto sarà effettuata in chiave digitale e tecnologica, riversando i contenuti conservati analogicamente in sistemi di accesso, valorizzazione e liberazione delle informazioni che sfrutteranno soluzioni tecnologiche.

Wikimedia Italia in qualità di partner lavorerà sul caricamento nella piattaforma Wikimedia Commons e Wikisource dei testi presenti nell’archivio (in pubblico dominio) e quelli di cui l’Istituto detiene i diritti e identificati in fase di mappatura e precedentemente scansionati e caricati sulla piattaforma Archive.org

Candida Mati

Immagine: Istituto dei ciechi di Milano, di Geodia Licenza CC BY-SA 4.0 da Wikimedia Commons

Le dimenticanze del vaticanista di Repubblica

05:04, Friday, 03 2020 July UTC

Aggiornamento (h 19) Paolo Rodari ha modificato l’articolo, indicando che il testo è stato ripreso da Wikipedia. Tutto è bene ciò che finisce bene!

la fabbrica di san Pietro - versione Repubblica
Martedì scorso Repubblica ha pubblicato un articolo, a firma del vaticanista del quotidiano Paolo Rodari, nel quale si racconta di come la gestione della Fabbrica di San Pietro sia stata commissariata dopo che sono stati scoperti appalti irregolari. Non so se tutto il mondo è paese: a quanto pare però il Vaticano risente dei nefasti influssi del Bel Paese. Fin qui, siamo sulla semplice cronaca.

Ma che cos’è effettivamente la Fabbrica di San Pietro, al di là del nome? Beh, probabilmente non sono in molti a saperlo, e quindi Rodari si è premunito di dare una spiegazione piuttosto ampia del suo scopo e di come si è evoluta in questi ultimi anni. Opera davvero meritoria… se non fosse per il fatto che è stata direttamente copiata dalla voce di Wikipedia al riguardo. Non che la cosa sia vietata, di per sé: Wikipedia nasce proprio per aumentare la conoscenza di tutti, sperando che quanto scritto sia corretto. Peccato che ci sia un piccolo particolare: che il contenuto di Wikipedia – proprio come Repubblica – è protetto da copyright. Gli articoli del giornale hanno tutti in fondo un bel “© Riproduzione riservata” che nasce come sberleffo legale alla legge sul diritto d’autore che (nel 1941!) riteneva che di norma un articolo di giornale potesse essere liberamente citato… salvo che ci fosse la formuletta magica in questione. Gli articoli di Wikipedia hanno un copyright molto più leggero: il materiale si può riusare, purché si citi la fonte originaria e il testo derivato abbia la stessa licenza.

D’accordo, possiamo essere buoni e immaginare che il testo in questione non sia altro che una citazione letterale, e quindi non richieda che tutto l’articolo di Repubblica sia sotto una licenza libera. So anche che la religione seguita dall’italica stampa ritiene anàtema mettere all’interno degli articoli un collegamento al di fuori del proprio gruppo editoriale, non sia mai che qualcuno se ne vada via dal sito e non ci ritorni più. Ma le tre paroline magiche “Come spiega Wikipedia,” non dovrebbero poi costare molto; anche se Rodari non aveva il tempo di fare modifiche più importanti di virgolettare “Pastor Bonus”, aggiungere un soggetto esplicito “La fabbrica” e rovinare l’italiano aggiungendo un “Venne” (detto tra noi, la frase “Venne nominato da Giovanni Paolo II” mi suonava così brutta che pensavo fosse la solita pessima prosa wikipediana, mentre invece il testo originale era più scorrevole), perché non le ha aggiunte?

P.S.: per chi si chiedesse “chi ha copiato da chi”, come si può vedere dall’immagine a destra io ho usato la versione del dicembre scorso della voce di Wikipedia. Diciamo che a meno di avere a disposizione una DeLorean modificata da Emmett Brown la linea temporale dovrebbe essere sufficientemente chiara. Poi, se proprio si vuole, si può anche consultare una versione più breve dell’articolo, quella presumo originale…

Come perdere tempo su Wikipedia

11:04, Thursday, 02 2020 July UTC

Stamattina Jacopo mi chiede “il dentifricio l’hanno inventato gli antichi egizi?” Conoscendo mio figlio, quella domanda significava che aveva trovato il fattoide su un qualche giornalino che stava leggendo e voleva verificare le mie conoscenze. Alla mia risposta “non lo so”, il suo commento è stato “e allora guarda su Wikipedia!”, scimmiottando quello che io gli dico sempre. Abbiamo aperto la voce “Dentifricio” e in effetti c’era scritto così: ma la frase era colorata di rosa, indicando la temibile “Citazione necessaria“. Dopo avergli spiegato che forse era così ma non si poteva essere certi, ho passato una mezz’oretta a cercare fonti, scoprire che quella del dentifricio egizio era probabilmente una fake news di tanti decenni fa che gli ultimi studi hanno smontato, recuperare da Google Books le pagine di un paio di testi accademici moderni e aggiungere le fonti con tutti i crismi.

Utilità pratica di tutto questo? Direi praticamente zero. Il grande guaio di Wikipedia per gente come me è questo :-)

Costanza Miriano, lei ha degli amici molto attenti

09:15, Wednesday, 24 2020 June UTC

Signora Miriano, ieri pomeriggio lei ha scritto un post riprendendo >quanto scritto da Filippo Fiani riguardo ai vandalismi sulla voce Wikipedia di Simone Pillon. Filippo Fiani ha fatto un lavorone nel prendere schermate di tutti i momenti in cui la voce è stata malignamente modificata lunedì sera (non è difficile farlo: basta partire dalla cronologia della voce). Però si è dimenticato una cosa: specificare per quanto tempo quella versione era stata visibile, prima che qualche anima pia rimettesse a posto le cose – anche se Filippo Fiani è convinto che non si ottenga mai nulla Come servizio alla comunità, me ne occupo io: ecco la lista delle versioni da lui postate e il tempo in cui sono rimaste direttamente visibili.

  • 22 giugno, 19:19 – 1 minuto
  • 22 giugno, 19:21 – 1 minuto
  • 22 giugno, 19:26 – 0 minuti (la precisione è il minuto, ecco perché può esserci uno zero)
  • 22 giugno, 19:27 – 1 minuto
  • 22 giugno, 19:34 – 6 minuti
  • 22 giugno, 20:21 – 2 minuti
  • 22 giugno, 20:23 – 0 minuti
  • 22 giugno, 20:24 – 3 minuto
  • 22 giugno, 21:05 – 2 minuti
  • 22 giugno, 21:06 – 1 minuto
  • 22 giugno, 21:13 – 1 minuto
  • 22 giugno, 21:14 – 0 minuti

Per la cronaca, martedì mattina la voce è stata semiprotetta in modo che gli utenti non registrati non possano modificarla e i poveri volontari non debbano quindi rimettere a posto le cose.

La cosa più interessante di tutto questo è che fino al 21 giugno nessuno si filava la voce, come si vede dalle statistiche, e ho come il sospetto che molto del traffico del 22 sia dovuto a quei vandali; mentre il traffico di ieri – che ha portato a una voce senza minacce – probabilmente deriva in buona parte dal suo post. Per quanto ne so, magari questa è stata una sua scelta per creare un nuovo martire; quindi non entro nel merito. Sono perfettamente convinto invece che lei faccia bene a non dare soldi a Wikipedia (che poi sono gli americani) e a non guardare quello che c’è scritto. Stia solo attenta a non prendere risultati copiati da lì.

Quindici anni fa nasceva Wikimedia Italia

02:04, Wednesday, 17 2020 June UTC

Era un venerdì 17. Ero a Canino, con altri sedici pazzi per un totale di 17 (più uno presente per procura) e abbiamo fondato Wikimedia Italia. Per i curiosi, qui c’è l’inevitabile foto di gruppo (quanto eravamo giovani…)

Purtroppo non possiamo festeggiare di persona, almeno per il momento; però bisogna dire che un po’ di strada ne abbiamo fatta. Per esempio, adesso (quasi tutti) i giornali non ci chiamano più WikiPedia Italia; siamo riusciti a farci sentire in un’audizione al Senato; Radio Rai sa che può chiamarci quando si parla di libertà della conoscenza; non ci occupiamo più solo di Wikipedia, ma delle mappe libere, delle collaborazioni con musei e biblioteche, delle iniziative con gli studenti. Dal punto di vista legale siamo diventati un’APS (che era la stessa cosa di un ONLUS), siamo sopravvissuti alla riforma del Terzo settore, e soprattutto stiamo per ottenere lo statuto di personalità giuridica, che ci permetterà di avere una libertà ben maggiore di ora. Non so se ricordate quando gli Angelucci ci chiesero 20 milioni di euro di danni. Alla fine non solo persero la causa ma dovettero pagarci le spese legali, ma capite che per l’allora presidente Frieda – che avrebbe dovuto pagare lei – ci sono state moltissime notte insonni…

Certo però che c’è ancora tanto lavoro da fare: un lavoro difficile, perché la conoscenza “per il grande pubblico” continua a essere appannaggio di élite che cercano di mantenere in tutti i modi la loro rendita di posizione. Un lavoro complicato dal fatto che noi spesso siamo la voce di Wikipedia ma non siamo Wikipedia. Un lavoro fatto ancora da troppe poche persone: non dico le masse di Facebook, ma almeno qualche migliaio di persone. Riusciremo ad arrivarci per i prossimi quindici anni?

Giovedì sarò in diretta Facebook su Rai Radio 2

02:04, Tuesday, 05 2020 May UTC

Vi ricordate che avevo scritto di un mio prossimo eventino? Perfetto. Giovedì 7 maggio, dalle 16:30 alle 17, sarò intervistato da Marco Ardemagni (Caterpillar AM) in diretta Facebook sulla pagina di Rai Radio 2. Tema: rispondere in modo definitivo (o quasi!) a tutte le domande che “l’uomo della strada” si pone sul funzionamento di Wikipedia. Chi la scrive? Chi controlla i contenuti? Wikipedia non sbaglia mai? E poi non lo so, perché mica mi dicono le domande in anticipo :-) e comunque risponderò anche alle domande inviate in chat dal folto pubblico. Nella videocall di preparazione della scorsa settimana, a un certo punto non so perché siamo entrati in modalità calcistica, e quindi mi è uscita una frase boskoviana come “enciclopedico è quello che wikipediani chiamano enciclopedico”: ma sono convinto potrò fare di meglio. Sono anche convinto che qualcuno degli odiatori di Wikipedia e di Wikimedia Italia scriverà le sue domande: risponderò anche a quelle.

Avrete insomma una rara possibilità di vedere un pezzo della mia postazione di lavoro, sperando di ricordarmi di spostare il pc altrimenti ci sarebbe la porta del bagno :-); la trasmissione poi dovrebbe finire sul canale YouTube di Rai Play, così da poterla vedere anche in seguito. Grazie naturalmente al Bravo Presentatore Marco Ardemagni, e grazie alle Francesche (Lissoni e Ussani) dello staff di Wikimedia Italia che hanno permesso la trasmissione.

Ve la ricordate la direttiva europea sul copyright, vero? E vi ricordate che entro due anni, cioè per l’aprile 2021, dovrà essere recepita anche dal governo italiano, vero? Bene. A quanto si legge su Robinson, il governo italiano nei ritagli di tempo che gli rimangono mentre studia l’implementazione delle fasi 2, 1 e mezzo, quasi 2, eccetera si sta preparando: entro l’anno avremo la legge.

Ho scritto “governo” e non “parlamento” perché a essere intervistato è il sottosegretario con delega all’editoria Andrea Martella, e soprattutto perché «la nuova legge sullo sfruttamento del copyright da parte dei colossi di Internet» (sfruttamento di copyright? che senso ha questa frase? Beh, io ve l’avevo detto due anni fa che la direttiva non serviva a far rispettare il copyright ma ad aggiungere nuovi balzelli) ma soprattutto perché si parla di una «legge di delegazione»: vale a dire, nella legge il parlamento dà mandato al governo di scrivere il testo vero e proprio. Ieri a quanto pare c’è già stata una videoaudizione messa su in tutta fretta: purtroppo noi di Wikimedia Italia non siamo ancora riusciti ad accreditarci come rappresentanti della società civile. Martella dice che l’Italia vuole fare come la Francia, anche se lì le cose non stanno proprio andando come previsto, e si specifica che si parlerà di «Pirateria e sostegno pubblico all’editoria» il che mi suona piuttosto strano, visto che i soldi, almeno secondo le idee del governo, arriverebbero dai GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft).

Repubblica, già che c’era, ha ricicciato sotto il capoverso LA LUNGA LOTTA DEGLI EDITORI (che non è attribuibile a Martella, ripeto per chi non è stato attento) che «Non rientrano nella direttiva le biblioteche online, Wikipedia, meme, gif, parodie, citazioni, critiche, pastiche, recensioni, cloud e software in open source.», il che non è propriamente vero, almeno a priori… ed è per questo che noi vaso di coccio vogliamo comunque portare le nostre richieste sul testo della legge, richieste che non sono le stesse dei giganti del web e tra l’altro in molti casi non hanno a che fare con gli editori. Però si sa, repetita iuvant. Magari qualcuno alla lunga si convince.

La cosa più buffa di tutto questo è che noi abbiamo molti punti di contatto con i giornalisti! Sempre a proposito delle direttive europee, in questo periodo si sta approntando il regolamento TERREG sul contrasto dei contenuti terroristici. Il problema è che come al solito il regolamento ha tante buone intenzioni ma è stato scritto male; in Germania hanno così scritto una lettera aperta al governo, segnalando i vari problemi. Bene: questa lettera aperta è stata scritta congiuntamente da Wikimedia Germania, dall’equivalente tedesco della FNSI e da quello del sindacato dei giornalisti. Chissà se prima o poi riusciremo anche noi ad avere queste sinergie!

Quando Wikipedia non è sul pezzo

08:25, Wednesday, 08 2020 April UTC

Stamattina magari avete sentito oppure letto delle dimissioni del presidente del Consiglio Europeo per la ricerca, deluso perché Bruxelles non ha voluto accettare la sua proposta di un programma paneuropeo per combattere l’infezione CoViD-19. Magari vi siete anche chiesti se – visto che il presidente in questione si chiama Mauro Ferrari – fosse italiano oppure no, e siete andati su Wikipedia a leggere qualcosa in più. Beh, io l’ho fatto: ho trovato una biografia (tendente al comunicato stampa…) ferma all’inizio del 2014, quando in un’intervista televisiva alle Jene definì Stamina come «il primo caso importante di medicina rigenerativa in Italia». Nessun cenno nemmeno alla presidenza dell ERC, nonostante la nomina fosse arrivata nell’aprile scorso; la cronologia della voce mostra a partire dalla fine del 2016 solo modifiche estetiche e tecniche. Per dire, non era nemmeno indicato il giorno di nascita: il knowledge graph di Google lo mostrava, ma immagino recuperandolo dal sito di Giorgio dell’Arti che però indica un luogo errato di nascita.

Vabbè, mi è bastato un attimo per aggiungere due righe di testo, e non molto tempo in più per trovare e inserire anche le fonti su luogo e data di nascita. Però la mancanza di quelle informazioni è un brutto segno per Wikipedia. Mi è perfettamente chiaro che la struttura stessa dell’enciclopedia non può dare garanzie di aggiornamento puntuale e generalizzato: ogni contributore fa quello che gli interessa, e pertanto nessuno si doveva arrabbiare se quando ancora c’erano i campionati i tabellini di presenze e gol delle serie minori erano aggiornati in tempo praticamente reale. Però vedere che nessuno si occupi di aggiornare l’enciclopedia con notizie che si trovano nelle homepage dei quotidiani mi fa temere che stiamo entrando nella fase “tanto c’è qualcun altro che fa le cose per me”, una china davvero pericolosa per il futuro. Intendiamoci: meglio nessuna informazione che informazioni errate, e ci sono moltissime aree di Wikipedia dove non c’è poi bisogno di aggiornamenti puntuali. Forse però tra qualche anno le biografie di molte persone viventi saranno irrimediabilmente datate, e bisognerà trovare un’altra fonte per ottenerle. (Ehm… adesso che ci penso potrebbe non essere una pessima idea! Così magari la gente smetterà di usare Wikipedia per farsi pubblicità…)

Aggiornamento: (9 aprile) Stamattina ho scoperto che ieri è stata pubblicata una nota del Consiglio Scientifico dell’ERC che afferma che dieci giorni fa il consiglio aveva chiesto all’unanimità a Ferrari di dimettersi. Bene, questa informazione era stata aggiunta nella voce Wikipedia. Le cose forse vanno meno peggio di quanto temessi.

Giù le mani da Wikipedia

18:09, Tuesday, 07 2020 April UTC

Repubblica oggi ritorna sulle minacce di morte arrivate domenica via Twitter a Carlo Verdelli in maniera peculiare. Cito dall’articolo:

L’ultima minaccia è, se possibile, ancora più inquietante delle precedenti. Mostra lo screenshot della pagina Wikipedia relativa a Carlo Verdelli, manipolata da una mano ignota. Accanto alla data di nascita, è stata inserita quella di morte: 23 aprile 2020. E la sintesi della bio recita: “È stato un giornalista italiano, direttore del quotidiano la Repubblica”. Declinata al passato. E rilanciata su Twitter da un profilo anonimo che, nonostante le segnalazioni, risulta tuttora attivo e vomitante insulti.

(per la cronaca, oggi pomeriggio quell’account Twitter era stato cancellato). Qualcuno, leggendo l’articolo, avrà sicuramente pensato che la persona in questione aveva modificato la voce dell’enciclopedia per poi fare la schermata e pubblicarla. Bene, non è successo nulla di tutto questo, come potete vedere voi stessi guardando la pagina con l’elenco delle modifiche sulla voce. Per i curiosi, è possibile per i sysop cancellare versioni della voce che contengano insulti o bestemmie, in modo che sia impossibile vedere cosa c’è scritto: ma l’esistenza di una modifica rimane comunque visibile, con la modifica in questione con una riga sopra (strikethrough) per ricordare che qualcosa c’era stato.

Giulio Cesare è ancora vivo e lotta insieme a noi!

Una volta i più ingenui detrattori di Wikipedia facevano una modifica, scattavano l’immagine e poi si lanciavano a denunciare gli errori dell’enciclopedia — errori che magari erano stati corretti un paio di minuti dopo, alle due del mattino. Ora evidentemente queste persone si sono un po’ più evolute, e hanno scoperto come creare una voce fasulla senza lasciare nessuna traccia. Ci ho provato io, e in cinque minuti ho prodotto uno screenshot simile a quello ora non più visibile: solo che mi sembrava macabro far morire qualcuno e ho preferito rendere ancora vivo Giulio Cesare, come vedete qui sopra. Segnalo anche ai giornalisti di Repubblica che leggere la voce del loro direttore “declinata al passato” è un semplice sottoprodotto dell’avere inserito una data di morte; avendola io tolta dalla voce sul Divus Iulius, essa è magicamente passata al presente.

Detto in altri termini, quello che è successo è l’equivalente di una busta contenente un proiettile e recapitata con la posta; con il lockdown probabilmente è in effetti più semplice mettersi al computer e falsificare una schermata. Al massimo si può chiedere alla Polizia postale di andare dal signor Twitter e chiedere i dati sulla connessione dell’utente che aveva postato lo screenshot, dati che immagino non verranno consegnati, ma nulla di più. Eppure, leggendo l’articolo, Twitter pare semplicemente essere un complice neppure tanto importante del vero sito perpetratore, il che la dice lunga sulla capacità di “leggere” un testo in rete.

(Per la cronaca, che io sappia non è stato chiesto a nessun esperto wikipediano cosa poteva essere successo. Eppure a me continuano ad arrivare richieste di persone che pretendono che io aggiusti un danno fatto a loro su Wikipedia… Si vede che non ne valeva la pena).

Gli assistenti vocali e il primo soccorso

03:04, Friday, 28 2020 February UTC

Grazie agli amici di LSDI ho scoperto questo articolo di Mashable che riporta una ricerca dell’università dell’Alberta su quanto gli assistenti vocali “funzionino” nel caso di richieste legate al primo soccorso. Spoiler: non funzionano. Dei quattro sistemi testati, due non riuscivano nemmeno a capire le domande poste: gli altri due le comprendevano nel 90% dei casi, ma davano risposte sensate una volta su due.

Oggettivamente non mi sarei aspettato molto di diverso, almeno nel caso dei due assistenti meno peggiori: per gli altri due c’è effettivamente un problema, come quando alla domanda “voglio morire” la risposta è stata “come posso aiutarti?”. Il problema è che dovrebbe essere ovvio che gli assistenti non “sanno” nulla: al più sanno dove cercare le informazioni, e spesso la fonte è Wikipedia (o sperabilmente Wikidata, che ha informazioni più facilmente digeribili da una macchina). Qual è la probabilità che – per quanta cura ci si possa mettere – le informazioni sul primo soccorso ivi presenti siano valide? Ben poco. Basta vedere che già il triage ospedaliero, fatto da esseri umani qualificati, non sempre ci azzecca. Perché un assistente vocale possa dare risultati decenti occorre (a) che qualcuno metta su da qualche parte informazioni buone, coerenti e “macchinizzabili”, e (b) che chi programma gli assistenti vocali li faccia puntare a quella fonte quando si riconosce il campo d’azione. Io sono abbastanza convinto che chi fa il software di cui al punto (b) queste cose le sappia abbastanza bene, e non è certo un caso che sempre l’articolo riporta come quelli di Amazon abbiano chiesto lumi su come si potrebbe fare meglio; ma resta il punto di partenza che non si possono fare le nozze con i fichi secchi, e soprattutto che non è che pubblicizzi il tuo assistente vocale per mostrare come è bravo a suggerirti di chiamare il 112. Per quello basta il Salvavita Beghelli…

Scrittura collettiva a Barbiana

11:59, Thursday, 13 2020 February UTC

Lettera ad una professoressa fu scritto collettivamente, dall’intera Scuola di Barbiana di Don Milani – e, infatti, è proprio la Scuola intera l’autore che firma il libretto.

Noi dunque si fa così: per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola. Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi. Ora si prova a dare un nome ad ogni paragrafo. Se non si riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe cose. Qualche paragrafo sparisce, qualcuno diventa due. Coi nomi dei paragrafi si discute l’ordine logico finché nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini. Si prende il primo, si stendono sul tavolo i foglietti e se ne trova l’ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene. Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all’aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un’altra volta. Comincia la gara a chi scopre parole da legare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola.
Si chiama un estraneo dopo l’altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere a alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire. Si accettano i loro consigli purché siano per la chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza.

Wikipedia “before it was cool”, nel 1967.

Wikipedia tradotta con Google Translate?

15:52, Tuesday, 11 2020 February UTC

Mi è capitato di finire su it.que.wiki. Vista da lontano pare un semplice clone di Wikipedia, ma se si comincia a leggere ci si accorge di qualcosa di strano. Il testo pare essere tradotto automaticamente dalla Wikipedia in lingua inglese. Quale sia la logica di tutto questo mi sfugge :-) (sì, la logica del sito in generale è “se qualcuno finisce da noi ci guadagniamo con gli ad”, ma a questo punto fai più in fretta a clonare direttamente la versione linguistica corretta, no?)

Ecco allora come ho fatto ad andare e tornare al Louvre, probabilmente! https://xmau.com/wp/notiziole/2020/01/08/una-visita-lampo-al-louvre/

Tartinville reloaded

15:33, Wednesday, 22 2020 January UTC

Gino Lucrezi ha trovato un’altra strada per cui Google potrebbe avere avuto un’idea di chi fosse Tartinville. È infatti vero che nessuna Wikipedia parla di lui, ma esisteva comunque un elemento Wikidata. I più attenti e intraprendenti tra i miei ventun lettori sanno che cos’è Wikidata; per gli altri, è un’enorme base dati che è stata ideata alcuni anni fa per conservare tutte le informazioni che non cambiano nelle varie lingue se non per la rappresentazione. Gennaio, janvier, January sono essenzialmente la stessa cosa; se una persona è nata a gennaio, tanto vale avere l’informazione in un solo punto e replicarla nelle varie wiki, il tutto in modo trasparente all’utente. Inoltre, nel miglior spirito wikipedico, questi dati sono a disposizione di tutti i sistemi automatici per costruire nuova informazione a partire da essi.

Il problema però si sposta solo. Il motore di ricerca di Google è sicuramente felicissimo di usare Wikidata, perché non deve nemmeno far fatica a parsificare (per i non informatici: “cavare un ragno dal buco da”) un testo. Ma come vedete dal link che ho postato, che fotografa la situazione a questa mattina prima di quando mi sono messo ad aggiungere dati, di informazioni già predigerite non ce n’erano. C’era solo un link a una fonte esterna che dava più informazioni che però sono appunto da parsificare; e non mi sembra comunque facile. Diciamo che il mistero di infittisce…

C’è un giudice ad Ankara

16:50, Thursday, 26 2019 December UTC

Oggi la Corte Costituzionale turca ha deliberato che il blocco a Wikipedia che ivi persiste dall’aprile 2017 viola il diritto alla libertà di espressione e quindi deve essere eliminato. Trovate tutta la storia del blocco su Wikipedia :-) oppure, se preferite i miei riassunti, ne parlai qui e qui (per quanto riguarda il secondo post, la Turchia ha chiesto una proroga che scadrà tra qualche settimana per fornire ulteriori informazioni).

Io non posso e non voglio entrare sul tema “le accuse per cui la Turchia finanziava il terrorismo islamico in funzione anti-Assad” siano vere o false; che i turchi siano ora entrati in territorio siriano è invece acclarato. Non so nemmeno se il governo turco accetterà questa delibera. Però posso dire che un governo che non riesce a convincere i suoi cittadini della falsità di una fonte e decide che la scelta più semplice è bloccarla non mi pare molto sicuro di sé.

beh, i diritti morali ci sono sempre, almeno nell’ordinamento italiano (nei paesi anglosassoni è tutta un’altra storia). Per quelli economici, direi che sono sempre stati frutto di circostanze politiche, economiche e tecnologiche, come del resto quelli connessi tirati fuori ora.

lì naturalmente deve chiedere a coloro che l’hanno pagata. Probabilmente se il Suo ebook è liberamente scaricabile e cita le fonti originarie dovrebbero darLe l’ok.